A Pavia, nel 500° anniversario della battaglia che cambiò la storia d’Europa, Aspen ha riunito politica e vertici militari. L'allarme del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito
La quarta edizione del convegno dedicata al 500° anniversario della Battaglia di Pavia si è aperta con il ministro della Difesa Guido Crosetto e con gli interventi di esponenti del governo e della NATO. Il nodo, emerso sin dalle prime battute, è che l’Europa rischia di arrivare tardi mentre altri si muovono più velocemente. Se la prima parte ha analizzato il quadro geopolitico e la necessità di una difesa comune, la seconda ha assunto un tono più netto e realistico con l’intervento del generale di Corpo d'Armata Carmine Masiello, capo di Stato Maggiore dell’Esercito italiano, protagonista del passaggio più discusso e più concreto dell’intera giornata.
Masiello ha iniziato con un dato geopolitico dirimente: il baricentro strategico americano non coincide più con l’Europa. "Gli Stati Uniti non ci sono più", ha detto, spiegando che per Washington la priorità non è il Vecchio Continente. "La priorità numero uno per gli Stati Uniti sono gli Stati Uniti e il continente americano. Poi viene la Cina. Solo dopo viene l’Europa". La dipendenza europea dall’ombrello Usa – culturale, strategica e militare – non è più sostenibile.
Da qui discende la seconda constatazione: la pace non è più un orizzonte permanente, ma una parentesi. "Dobbiamo prendere atto che la pace è una parentesi fra due guerre", ha ricordato il generale, mettendo in guardia una generazione cresciuta nel tempo più lungo di stabilità della storia europea.
Su questo sfondo, l’Ucraina non è un’eccezione ma un sintomo. Masiello ha descritto il conflitto come "una guerra convenzionale, una guerra tecnologica e una guerra cognitiva". Se la prima rievoca trincee, artiglierie e mezzi blindati che l’Europa aveva smesso perfino di addestrarsi a usare, le altre due sono già qui. Gli attacchi cibernetici quotidiani contro infrastrutture civili e militari e la propaganda che attraversa social e media ne sono il volto più visibile. "La mente umana è diventata parte del campo di battaglia", ha spiegato, avvertendo che l’Europa è già sotto attacco in queste due dimensioni, anche senza dichiarazioni di guerra.
Il problema, secondo Masiello, è che l’Europa arriva a questo appuntamento storicamente impreparata. Trent’anni di missioni di pace hanno ridotto le capacità pesanti degli eserciti. "I carri armati erano fermi da anni, l’artiglieria era bandita, nessuno parlava più di difesa contraerea", ha detto. La conseguenza è duplice: mancano i mezzi e manca la mentalità necessaria a usarli.
Per il generale serve una svolta culturale prima ancora che tecnologica. L’esercito, ha spiegato, deve "imparare ad anticipare", perché reagire non basta più. E serve rompere un tabù tutto interno alla cultura militare italiana: "Sbagliare è importante. Se non sbagliamo non cresciamo e se non cresciamo non innoviamo".
Ma l’allerta del capo di Stato Maggiore non riguarda solo l’esercito. Il nodo è sistemico. "Queste crisi non si affrontano solo con i militari. La difesa è dovere di tutti i cittadini", ha detto richiamando l’articolo 52 della Costituzione e denunciando la fragilità dell’opinione pubblica italiana, spesso ostile alla presenza delle Forze Armate nelle scuole, nelle piazze, perfino nel dibattito civile.
Poi c’è l’industria. Su questo punto Masiello è stato esplicito: i tempi di approvvigionamento europei sono incompatibili con la velocità della minaccia. "Con questi ritmi non saremo pronti", ha avvertito, spiegando che la priorità oggi non può essere la mediazione tra interessi industriali nazionali, ma mettere le forze armate in condizione di difendere il Paese. La richiesta è chiara: un sistema decisionale più rapido, procedure più snelle e integrazione vera con industria e ricerca.
Il generale ha chiuso con un messaggio politico, non tecnico: i militari possono integrare, cooperare, addestrarsi insieme – e lo stanno già facendo con eserciti come quello francese e spagnolo – ma la scelta finale è dei governi. "La volontà di fare la difesa comune è una questione politica", ha detto, ricordando che l’Europa può anche diventare una potenza militare tra dieci anni, "ma dobbiamo arrivarci pronti a superare le crisi che possono esplodere prima".
La Battaglia di Pavia, è questo l'obiettivo dell'incontro dell'Aspen Institute, insegna che la forza senza adattamento serve a poco. Nel XVI secolo vinse chi comprese per primo il salto tecnologico. Oggi, nel pieno di una trasformazione che passa da intelligenza artificiale, spazio, cyber e informazione, la lezione è identica: chi non si adegua, perde.