Vattani: "il Padiglione Italia, un successo di promozione integrata e diplomazia della crescita”

Il Commissario al Padiglione dell'Expo di Osaka, che si è chiuso da pochi giorni, ne ha parlato con l'Adnkronos

Vattani:
29 ottobre 2025 | 18.06
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Con oltre 3 milioni di visitatori, 18 regioni presenti e più di 200 eventi, il Padiglione Italia all’Expo di Osaka 2025 si è confermato tra i più visitati e apprezzati dell’Esposizione universale, chiusasi il 13 ottobre. L'obiettivo dichiarato era mostrare un’Italia capace di fare sistema, di coniugare cultura, impresa e tecnologia, e di presentarsi in Asia come partner strategico per la crescita e l’innovazione. Il padiglione, premiato con la medaglia d’oro del Bureau International des Expositions per il miglior sviluppo del tema “Designing Future Society for Our Lives”, ha registrato code di otto ore nei giorni conclusivi, e ha catalizzato l'attenzione dei media giapponesi.

Al centro dell’allestimento, l’Atlante Farnese, capolavoro del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, inserito in un’installazione immersiva che ha raccontato la capacità italiana di unire patrimonio culturale e tecnologie d’avanguardia, dall’aerospazio alla subacquea. L'Adnkronos ne ha parlato con Mario Vattani, commissario del Padiglione Italia.

Partiamo dal bilancio generale del Padiglione Italia. Qual è stata la risposta del pubblico e dei media?

È stata un’occasione unica per presentarci come sistema. L’Italia ha portato a Osaka non solo le sue eccellenze nazionali, ma anche le realtà regionali come mai prima: hanno partecipato 18 regioni su 20 . È la dimostrazione di quanto i nostri territori e le nostre imprese abbiano bisogno di nuovi mercati, in un momento di grande tensione internazionale e di incertezza sui dazi. Il risultato è stato eccezionale: il nostro padiglione ha avuto un successo di pubblico e mediatico senza precedenti. Negli ultimi giorni si è arrivati a otto ore di fila, con visitatori che venivano a Expo solo per vedere l’Italia.

Il Padiglione Italia è stato spesso indicato come uno dei più apprezzati dell’Expo.

Sì, e un simbolo in particolare, l’Atlante Farnese, è diventato uno dei volti stessi dell’Expo. Era sui banner, sulle copertine delle riviste giapponesi, accanto ai simboli della tecnologia nipponica. Ma non era un’esposizione museale: l’Atlante era al centro di un’installazione immersiva che raccontava la nostra aerospazio, la tecnologia subacquea e le eccellenze scientifiche italiane. Tanto che il Giappone ci ha chiesto di lasciarlo per altri tre mesi, insieme a due nuovi fogli del Codice Atlantico di Leonardo e al “Gonfalone della Giustizia” del Perugino. Lo mostreranno a proprie spese, mantenendo l’installazione italiana: un esempio concreto di promozione integrata, la nostra cultura come strumento di cooperazione e diplomazia.

In quest’ottica, quanto è importante la partnership strategica tra Italia e Giappone?

È fondamentale. Il Giappone è una democrazia avanzata in un contesto asiatico molto variegato, e per noi è un partner naturale. La partnership strategica firmata nel 2023 da Giorgia Meloni e Fumio Kishida ha creato un quadro nuovo di cooperazione in settori chiave: difesa, aerospazio, energia, digitale, materiali critici. Siamo due Paesi “like minded”, con sfide simili -dall’invecchiamento della popolazione alla necessità di un’autonomia tecnologica - e una visione condivisa. Collaboriamo anche su progetti legati alla fusione nucleare, all’idrogeno, alla subacquea, alla mobilità sostenibile.

Si è parlato anche di industria della difesa, in particolare del programma Gcap, che legherà i nostri paesi per decenni.

Non si tratta solo di costruire un caccia o dei droni: significa condividere know-how, strategie, sicurezza, formazione. È un patto generazionale. E avere il Giappone come partner in un settore così strategico è un passo avanti straordinario per l’Italia.

Il Padiglione è stato anche un luogo di relazioni internazionali?

Assolutamente sì. È stato visitato da moltissime delegazioni: dal presidente filippino Marcos al premier algerino, fino a rappresentanti di Stati Uniti, Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Abbiamo collaborato con molti di loro anche artisticamente: per esempio, con performer italo-americani durante le giornate nazionali. L’Italia si è mostrata accogliente, capace di dialogare con tutti, di costruire relazioni. Questo è il vero valore di una Expo: un’arena dove si misura la capacità di un Paese di proiettare il proprio soft power nel mondo.

Che cosa resta oggi di questa esperienza?

Resta un metodo. L’Expo non è solo un evento che finisce: è un laboratorio che lascia un modello di lavoro. L’idea della “diplomazia della crescita”, voluta dal ministro Tajani, nasce proprio da qui: muoversi come sistema, coinvolgere regioni e imprese, usare la cultura come veicolo di attrazione e collaborazione. Il “metodo Expo” è ormai parte della nostra politica estera economica. È un’Italia che fa squadra, parla al mondo e si fa ascoltare.

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