Perché l’Europa non può farsi dettare la pace. Le parole del ministro degli Esteri lituano

Kęstutis Budrys aveva parlato con l’Adnkronos del sostegno all’Ucraina e del pericolo di cedere al ricatto di Putin

Kęstutis Budrys - IPA
Kęstutis Budrys - IPA
13 agosto 2025 | 18.30
LETTURA: 4 minuti

Venerdì 15 agosto Donald Trump e Vladimir Putin si vedranno ad Anchorage, in Alaska, per discutere della guerra. Kyiv e le capitali europee temono una “pace cattiva”, con scambi di territori o concessioni unilaterali. In questo quadro, l’intervista realizzata dall’Adnkronos durante la Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina con il ministro degli Esteri lituano Kęstutis Budrys offre una bussola sulla posizione non solo del suo paese, ma del quadrante che va dal Baltico al Mar Nero: niente scambi di territori, sanzioni più dure e applicate davvero, difesa europea più forte, ricostruzione che comincia dalle scuole e dai rifugi.

Il faccia a faccia, fissato alla Joint Base Elmendorf–Richardson, senza ucraini al tavolo, ha acceso i fari su ipotesi di un possibile compromesso al ribasso. Per Kyiv sarebbe uno scenario da incubo, e per le cancellerie europee una falla strategica nella sicurezza del continente.

Budrys, sul punto, è stato netto: “L’Europa deve avere una linea comune e coerente. Non si baratta la sicurezza con pezzi di territorio, e non si premia l’aggressione. Se Kyiv viene lasciata sola, il conto lo pagheremo noi europei”. Nelle ultime 48 ore, mentre da Washington filtrano aperture a formule creative, Zelensky e i leader europei hanno ribadito le “linee rosse”: niente concessioni territoriali senza garanzie reali, cessate il fuoco verificabili, ritiro reciproco “inch-for-inch”.

In questi giorni Budrys ha scritto su X: “Le frontiere, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina non sono negoziabili. La pace è possibile solo attraverso forza e unità”.

Una prima lezione arriva dal portafoglio. Il 18° pacchetto di sanzioni Ue ha abbassato il price cap sul greggio russo e introdotto un meccanismo dinamico per tenerlo stabilmente al di sotto del prezzo medio di mercato. È un segnale politico e pratico: asciugare le entrate energetiche di Mosca senza destabilizzare i mercati. “Serve abbassare di nuovo il price cap e, soprattutto, farlo rispettare in mare”, ci ha detto Budrys. “La flotta ombra russa non è veramente: è fatta di navi senza assicurazione reale, con bandiere cambiate al bisogno e transponder spenti”.

Non sono parole in astratto. Nel Baltico le autorità hanno acceso i riflettori su incidenti e rischi connessi a navigazione opaca e scafi vetusti; la Ue ha iniziato a colpire non solo gli operatori energetici russi ma anche facilitatori e proprietari di navi riconducibili alla flotta ombra. L’Imo, intanto, ha rafforzato l’attenzione sulle aree particolarmente sensibili: infrastrutture e ambiente sono a rischio quando circolano petroliere di dubbia tracciabilità. Morale: enforcement, controlli portuali e cooperazione con i registri di bandiera diventano parte della deterrenza.

Energia, di nuovo. La Ue ha già colpito i ricavi del gas liquefatto vietando i trasbordi di Gnl russo nei porti europei, con un phase-out proposto entro il 2027 per l’insieme delle importazioni fossili da Mosca. Qui l’Italia gioca una partita chiave: se l’Europa chiude i rubinetti alla rendita di guerra russa, il prezzo regge solo se accelera su rinnovabili, interconnessioni e stoccaggi. Altrimenti, ogni “pace” negoziata resta un ponte di carta.

La seconda lezione è militare. “Quest’anno spenderemo il 4% del Pil in difesa e dal 2026 saliremo al 5%. Non perché ci piace la guerra, ma perché la deterrenza funziona solo se è credibile”, dice Budrys. “Se l’Alleanza non riuscirà a muoversi compatta su addestramento e supporto, faremo come in passato: una ‘coalizione dei volenterosi’ per portare istruttori in Ucraina, a rotazione e in sicurezza.” Non è fantapolitica: da mesi, Parigi spinge a non escludere la presenza di istruttori sul terreno e un gruppo di Paesi lavora a formule di “in-country training”.

Terza lezione: la ricostruzione è già iniziata e non può aspettare le foto di Anchorage. Alla Urc 2025 di Roma la Lituania ha firmato programmi per l’istruzione ucraina, con un hub scolastico a Žytomyr e solare su scuole e asili; la Ue ha aperto il primo grande rifugio-scuola sotterraneo nell’oblast di Odessa. Budrys, qui, chiama per nome anche l’Italia: “Con Roma abbiamo progetti concreti sulla ricostruzione, da Odessa a Žytomyr: scuole con rifugi anti-bomba, energia rinnovabile, competenze”. Ricostruire mentre si combatte non è retorica: è resilienza misurabile, è riportare i bambini in classe in sicurezza.

Capitolo Cina e dual use. “Non è tattica anti-cinese. È strategia pro-regole: vanno sanzionate le aziende – dovunque si trovino – che aggirano i divieti esportando microchip, macchine utensili e componenti per missili”, insiste Budrys. È la logica dei nuovi pacchetti Ue: colpire chi aiuta l’apparato bellico russo, anche fuori dai confini, e usare lo strumento anti-coercizione imparato sulla pelle di Vilnius nel contenzioso con Pechino. “Non possiamo farci ricattare mai più”.

Ultimo punto: il processo europeo di Kyiv. A Bruxelles i negoziati di adesione sono stati formalmente aperti, con lo screening in corso fino all’autunno. È un percorso a ostacoli, anche per le riforme anticorruzione chieste dalla Ue, ma è il segnale politico che conta alla vigilia del vertice: la prospettiva europea va tenuta viva proprio mentre si parla di cessate il fuoco. Mollare adesso vorrebbe dire regalare a Putin la narrativa che “l’Occidente è stanco”. (di Giorgio Rutelli)

Riproduzione riservata
© Copyright Adnkronos
Tag
Vedi anche


SEGUICI SUI SOCIAL

threads whatsapp linkedin twitter youtube facebook instagram

ora in
Prima pagina
articoli
in Evidenza