
"Telefonata? Semplicistico ridurre a chi ha vinto e chi ha perso, a Mosca conviene negoziare a Istanbul"
Donald Trump è "l'unica persona" che può consentire oggi a Vladimir Putin di rivendicare "la vittoria" in Ucraina. Lo afferma in un'intervista all'Adnkronos Alexander Baunov, ex diplomatico russo e ricercatore del Carnegie Eurasia Center di Berlino, all'indomani della terza telefonata tra i due presidenti dal ritorno del tycoon alla Casa Bianca. Una telefonata che Baunov, autore del saggio 'La fine del regime: La caduta di tre dittature europee e il destino della Russia di Putin' (Silvio Berlusconi Editore), invita a non ridurre, con un ragionamento troppo "semplicistico", solo al punto 'chi ha vinto e chi ha perso' dal momento che "la nostra conoscenza di ciò che è stato realmente detto durante queste due ore è molto vaga" ed i comunicati diffusi al termine dalla Casa Bianca e dal Cremlino sono "piuttosto divergenti". E sull'ipotesi che il Vaticano ospiti i negoziati tra Mosca e Kiev, l'esperto ritiene che alla Russia adesso convenga restare a Istanbul.
Baunov sostiene che "nel complesso" finora Putin ha "ottenuto di più" di Trump dal momento che è riuscito a "ristabilire la comunicazione al massimo livello con gli Stati Uniti, senza fare alcuna concessione e senza nemmeno un cessate il fuoco", mentre il presidente americano puntava a "bloccare la guerra e poi a trovare una soluzione", ma questo scenario appare ancora lontano. Il leader russo è poi riuscito nella "routinizzazione" dei contatti con la Casa Bianca, sostiene l'ex diplomatico, ricordando come il loro primo colloquio a gennaio venne ritenuto "un evento sensazionale" che sembrava potesse portare a "qualcosa di altrettanto straordinario da parte russa". E invece ci sono state tre telefonate "senza sostanzialmente che nulla sia cambiato sul terreno" e Mosca è riuscita a dare l'impressione "semplicemente" di proseguire un processo che già esisteva da prima che Trump fosse vicino al suo ritorno alla Casa Bianca. Intanto il Cremlino è tornato "sulla scena diplomatica globale senza interrompere le ostilità", le truppe russe continuano ad avanzare "lentamente, ma costantemente" ed i bombardamenti non cessano.
Cosa allora potrebbe convincere davvero Putin a sedersi al tavolo dei negoziati per avviare trattative serie? Per Baunov "in una situazione normale" sarebbe "la pressione interna" in un'autocrazia a imporre la svolta dato che la guerra è in una fase di "stallo" e "richiederà sempre più risorse e vite umane senza portare a risultati significativi. Il problema è che sono già state dedicate troppe risorse allo sforzo bellico. In termini di vite umane e cambiamenti nella vita interna del Paese, la Russia è diventata una vera e propria dittatura classica, soprattutto nel suo nucleo, ma non nel senso pieno del termine e che conosciamo dalla storia del XX secolo".
Dopo aver sacrificato l'economia e la politica del Paese "sull'altare della guerra", Putin "sente il bisogno di ottenere un risultato impressionante" dopo tre anni di guerra e "l'unico che può fornirgli una sorta di vittoria militare è il presidente Trump, che potrebbe convincere l'Ucraina a fare più concessioni". Per Mosca, sostiene l'esperto, non basta il "riconoscimento de facto" dei territori occupati, ma necessita "anche dei territori che in parte non ha conquistato" e che Putin ed i suoi funzionari, cercando di imporre la loro "visione", "continuano a ripetere" sono "i nuovi confini" del Paese.
Trump è decisivo in tutto questo, sottolinea Baunov, dal momento che può esercitare "pressione" su Zelensky per convincerlo, o per certi versi costringerlo, ad assecondare le richiesta russe. Il capo della Casa Bianca "ha ripetuto molte volte che non è produttivo accusare una persona con cui si desidera raggiungere un accordo. Per questo non sta accusando apertamente Putin", osserva l'esperto, secondo cui il discorso è diverso per il presidente ucraino dal momento che nei suoi riguardi "pensa di avere strumenti di pressione, come gli aiuti economici e militari", che non ha con il leader russo.
In questo particolare momento per Trump è importante continuare a mantenere aperta la comunicazione con Putin, ma questo canale "non potrà rimanere aperto per sempre" se non produrrà anche qualche risultato. E qui, secondo Baunov, entra in gioco una certa astuzia del presidente russo che da Pasqua sta mostrando "qualche segnale di flessibilità" come dimostrano i due brevi cessate il fuoco dichiarati unilateralmente, azioni "molto simboliche" che "fondamentalmente servivano alle sue esigenze". L'audience di queste tregue, puntualizza l'analista, è a Washington e non solo in Russia, dove "soprattutto l'esercito" e "quella parte di opinione pubblica pro-guerra" non vedono di buon occhio un cessate il fuoco.
Trump, dal canto suo, può rivendicare alcuni risultati. Innanzitutto il fatto di aver convinto il suo interlocutore a riprendere i negoziati diretti con l'Ucraina mentre fino a pochi mesi fa quest'ipotesi "era quasi fuori discussione" a Mosca, che aveva deciso di mettere fine alla guerra negoziando direttamente con Washington. "Ora Trump ha spinto Putin a fare qualcosa che non voleva" e lo ha evidenziato "nel resoconto del colloquio di ieri, in cui ha insistito sui colloqui diretti tra russi e ucraini, che dovranno elaborare le condizioni per un primo cessate il fuoco e poi per la pace", rimarca Baunov, secondo cui un aspetto implicito è anche il fatto che Mosca abbia dovuto riconoscere Kiev come un interlocutore.
Sulla proposta di organizzare in Vaticano i prossimi colloqui di pace, l'esperto russo ha "l'impressione" che sia frutto dell' "improvvisazione" di Trump, che è rimasto "colpito dal fatto che il nuovo Papa sia nordamericano" ed è consapevole di come Putin "abbia avuto rapporti normali, anzi, diciamo buoni con il precedente Papa. Francesco ha persino iniziato o cercato di svolgere un ruolo di negoziatore, schierandosi però dalla parte dell'aggressore. Non credo però che il nuovo Papa avrà lo stesso atteggiamento nei confronti di Putin".
Baunov non ritiene conveniente per la Russia spostare i colloqui di pace da Istanbul alla Santa Sede. Per Putin, è il suo ragionamento, la metropoli sul Bosforo è il luogo "perfetto" non solo perché "ha rapporti complessi, ma comunque stretti con Erdogan", con il quale "condivide in parte l'agenda di potenza emergente alla periferia dell'Occidente", ma soprattutto perché per il capo del Cremlino "è importante dimostrare che non è accaduto nulla di nuovo" e che, come sottolineato dai media e dai funzionari russi, Istanbul non è stata una "novità" dal momento che già due anni fa qui si tennero i negoziati sul grano. Il messaggio quindi di Putin è che "nulla è cambiato nelle nostre richieste e nei nostri atteggiamenti nei confronti dell'Ucraina, né nella nostra percezione della sicurezza internazionale o di cosa sia giusto per la Russia per la risoluzione del conflitto - conclude Baunov - ma che i colloqui sono ripresi solo perché gli ucraini ora sono più disperati. Qualsiasi nuovo luogo, qualsiasi nuova mediazione sarà in grado di cambiare le cose. Quindi, per ora, non vedo alcun motivo per cui il Cremlino debba lasciare Istanbul".