Annalisa racconta 'Ma io sono fuoco': "Trasformo ogni situazione in occasione. Mio sogno? Lo stadio"

La cantautrice, l'artista donna più certificata in Italia, parla del suo nuovo album, della polemica dei finti sold out, e di quel suo guilty pleasure musicale che nessuno (neanche lei) sospetterebbe...

Annalisa (Nicholas Fols)
Annalisa (Nicholas Fols)
10 ottobre 2025 | 09.47
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Indossa un abito blazer color tortora, tacchi altissimi e la frangia perfettamente ordinata. Annalisa ci accoglie con un grande sorriso. Mancano pochi giorni all’uscita di ‘Ma io sono fuoco’, il nuovo album, fuori oggi, che inaugura un capitolo inedito della sua carriera, dopo un’estate dominata in cima alle classifiche con ‘Maschio’. Quarant’anni compiuti ad agosto, la cantautrice ligure di Carcare non sbaglia un colpo: è l’artista donna più certificata in Italia con 52 dischi di platino e 14 d’oro, ed è stata la prima italiana premiata ai Billboard Women in Music di Los Angeles. Ora si prepara alla prova del tour nei palasport - al via il 15 novembre da Jesolo, già sold out come le altre date - con un disco che intreccia sonorità dance anni ’80 con elementi elettronici di matrice internazionale. Sulla copertina posa su un letto infuocato con una tigre alle spalle: un’immagine che, come suggerisce la filosofia di Jorge Luis Borges, rimanda alla metafora del tempo circolare e alla trasformazione continua.

Vorrei partire dal titolo dell’album, ‘Ma io sono fuoco’. È una dichiarazione di identità fortissima. In quale momento hai capito che questa immagine ti apparteneva e che avrebbe guidato l’intero disco?

"Mi sono lasciata suggerire molto dalle canzoni. Quando sono andata in studio a scrivere, non avevo ancora in mente il titolo: ho seguito l’istinto, cercando di essere onesta. L’idea di un filo conduttore è arrivata man mano, quando avevo già un po’ di brani. Ascoltandoli tutti insieme, ho capito che il tema centrale era la reazione alle cose che accadono: la volontà di non lasciarsi travolgere dagli eventi. C’è sempre il fascino del lasciarsi andare, di ‘cavalcare l’onda’ ma fino a un certo punto. Io cerco comunque di prendere la direzione che voglio, anche quando è inaspettata, anche quando ciò che mi accade non è quello che mi aspettavo o mi delude. Cerco di trasformare tutto, anche le cose apparentemente negative, in opportunità. Ma io sono fuoco significa proprio questo: il ‘ma’ è una risposta a ciò che succede, un modo per dire che sono in grado di trasformare ogni situazione in un’occasione, portandola verso la direzione che cerco".

‘Dipende’ apre il disco con un sound molto anni ’80, tra synth e vibrazioni electro. Perché proprio quelle sonorità oggi? È pura nostalgia o c’è un dialogo con artisti internazionali come The Weeknd, Dua Lipa, Charli XCX? Mi viene in mente anche Giorgio Moroder nel brano ‘Emanuela’.

"Sicuramente. Non ho mai fatto mistero del fatto che il mondo elettronico ed elettropop, nato negli anni ’80, è quello che amo di più: mi fa sentire a casa, mi emoziona e mi permette di dare il massimo. Allo stesso tempo, ho un grande attaccamento alla canzone italiana: mi piace curare molto le parole, come da tradizione nostra. Quindi lavoro su due piani: da un lato un suono internazionale e sintetico, ispirato a The Weeknd, Dua Lipa, Taylor Swift, ma anche a nuove artiste come Chappell Roan; dall’altro una scrittura fortemente italiana, precisa e consapevole. È un mix tra ricerca sonora e cura del testo".

Negli ultimi anni la scena pop femminile italiana è fortissima: Emma, Alessandra Amoroso, Elodie, Clara, tu. Senti che si sta creando una vera ‘scuola’ di artiste italiane contemporanee?

"Perché no? Io mi sento pop nell’essenza: amo mettere in scena la musica, usare il palco come spazio espressivo, anche attraverso un po’ di trasformismo. Mi piace lo show tanto quanto la scrittura. Il pop ci dà la possibilità di far arrivare lontano messaggi e parole, che siano leggeri o profondi, spesso nascosti dietro una produzione o una cassa che fa ballare. Mi appartengono molto anche le canzoni più emotive, come ‘Piazza San Marco’, che canto insieme a Marco Mengoni ma in generale amo tutte le sfumature del pop. Trovo bello che noi donne stiamo lavorando tanto per conquistare spazio e credibilità. Non è facile, si fa più fatica ma non mi spaventa: a volte mi fa arrabbiare, sì, ma grazie anche alle interviste possiamo raccontare il lavoro che c’è dietro, nostro e delle colleghe. E di questo spazio che finalmente stiamo occupando, io sono fiera".

Mi sembra di capire che ci sia anche alleanza tra di voi. C’è mai competizione o è più un senso di riscrittura delle regole del pop al femminile?

"Certo, la competizione piace molto al pubblico, alle fanbase, ai media che fanno paragoni. È normale ma non è la realtà. Nella realtà c’è comprensione, perché sappiamo tutte quanta fatica c’è dietro".

Sei tra le artiste italiane più ascoltate su Spotify: come vivi il rapporto tra streaming, classifiche e l’ossessione dei numeri? Ti pesa?

"Sì, è una pressione. Sei continuamente sottoposta al giudizio dei numeri, e lo stress si sente. Però cerco di non soccombere: tengo conto di tutto ma non solo di questo. Guardo ai live, alla risposta della gente, a quanti anni sono che faccio questo mestiere. Mi concentro sul mio progetto nel suo insieme. È chiaro che oggi non si può ignorare lo streaming, fa parte del gioco, e io gioco".

Dopo i palasport sold out, lo stadio è ancora un sogno?

"Certo. Non avendolo mai fatto, rimane un sogno. Magari quando accadrà ne riparleremo, ma per ora subisco il fascino dell’ignoto. Lo guardo come un orizzonte: so che ci vuole tanto lavoro per arrivarci, ma mi piace".

Oggi si parla spesso di ‘finti sold out’. Qual è la tua posizione su questo fenomeno e sul rapporto tra hype e realtà nel mondo della musica live?

"Anche questo crea pressione, si somma a tutto il resto. Quelle due parole, ‘sold out’, generano spesso stress: sembra che se non lo fai, non conti nulla. Non è così. Il valore di un artista non si misura solo con i numeri dei biglietti. Quando capita di fare sold out è bellissimo, da celebrare, certo. Ma non è quello che ci definisce".

In questi mesi abbiamo visto molte manifestazioni sulla Palestina. Due tue colleghe, Carmen Consoli ed Elisa, si sono esposte chiaramente sulla Flotilla. Pensi che un’artista abbia il dovere di prendere posizione o è un peso ingiusto?

"Io penso che, se hai anche solo un po’ di persone che ti ascoltano, esporsi abbia senso. Ognuno lo fa come sente giusto, ma mi spiace quando chi si espone viene giudicato: non è giusto. Se lo fai con grazia e onestà, e con l’intento di diffondere empatia e generosità, fai bene. Nello specifico di questi giorni, non si tratta di opinioni o politica, ma di prendere atto di un orrore evidente e provare, con la propria voce, a far arrivare un messaggio".

C’è una traccia che consideri la tua confessione più nuda, quella che ti fa più ‘paura’ condividere?

"In realtà un po’ tutte. Per me scrivere è una forma di autoanalisi, un modo per chiarirmi, per capirmi. Quando arrivo in studio o annoto un’idea, significa che qualcosa mi tormenta. È difficile aprirsi, ma una volta fatto mi sento più leggera. Se devo sceglierne una, direi ‘Amica’: è stata dura da scrivere, tocca cose scomode. È la penultima traccia, ma in realtà è l’ultima, perché ‘Amica’ e ‘Una tigre sul letto’ sono collegate: l’una è la coda dell’altra e racchiudono il senso profondo del disco".

‘Avvelenata’ rimanda inevitabilmente a Guccini. È un omaggio, una provocazione o un modo per ribaltare quella rabbia negli anni 2020?

"In realtà il titolo mi è venuto spontaneo, anche se è inevitabile pensare subito a ‘L’avvelenata’. È una piccola citazione, certo, ma per me è un brano importante anche perché segna la collaborazione con Paolo Santo, con cui lavoro da anni in studio e con cui finalmente uniamo le voci. Mi piace giocare con le citazioni, a volte lo faccio consapevolmente, altre no. In questo caso ci ho pensato dopo".

Qual è il tuo guilty pleasure musicale, quello che nessuno si aspetterebbe?

"Guarda, l’anno scorso Spotify mi ha sorpresa: l’artista che ho ascoltato di più era Vangelis. Non me lo aspettavo, ma in effetti quando sono a casa da sola mi capita spesso di mettere le sue colonne sonore e lasciarle andare per ore. Era il mio numero uno. Al numero due c’erano i Glass Animals - quelli sì, me li aspettavo di più". (di Federica Mochi)

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