La Fenice inaugura la stagione con 'La clemenza di Tito' di Mozart

Regia contemporanea di Paul Curran, direzione di Ivor Bolton: un'opera antica che parla al presente

La Fenice inaugura la stagione con 'La clemenza di Tito' di Mozart
19 novembre 2025 | 13.08
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Il potere come responsabilità, la vendetta come tentazione eterna, la clemenza come gesto rivoluzionario. È con questo intreccio di passioni antiche e domande modernissime che "La clemenza di Tito", l'ultima grande opera seria di Wolfgang Amadeus Mozart, inaugura domani - giovedì 20 novembre alle 19, in diretta su Rai Radio3 - la Stagione Lirica e Balletto 2025-2026 del Teatro La Fenice di Venezia. Un titolo che torna sul palcoscenico non come reliquia del passato, ma come un prisma che riflette con sorprendente lucidità le fratture e le tensioni del presente. A firmare il nuovo allestimento è il regista scozzese Paul Curran, deciso a sfuggire tanto alla Roma imperiale quanto alla musealizzazione settecentesca, per costruire un mondo scenico capace di parlare - senza ambiguità - al nostro tempo. Sul podio, l'autorevolezza elegante e incisiva del direttore inglese Ivor Bolton.

Curran, che affronta per la prima volta questo titolo mozartiano, non ha voluto scegliere tra fedeltà storica e attualizzazione radicale: ha preferito evocare un presente "universale", attraversato da richiami classici, senza mai cadere nel didascalico. "Non volevo restare né ai tempi di Mozart né all'epoca romana", spiega il regista. "La domanda di fondo è sempre la stessa: come ci confrontiamo con l'abuso del potere? Viviamo in un mondo durissimo, segnato da estremismi politici e da un linguaggio pubblico sempre più aggressivo. La clemenza, invece, dovrebbe essere un valore centrale nella politica, nella società, nella vita di ognuno di noi".

La scena ideata da Gary McCann, insieme ai costumi e al light design di Fabio Barettin, costruisce un ambiente solenne e quasi sospeso: né Roma né la modernità esplicita, ma un ibrido in cui riconoscersi senza sentirsi costretti in una cornice storica. Il risultato è un contesto che amplifica il nucleo morale dell'opera: la scelta controintuitiva, controcorrente, e per certi versi rivoluzionaria, di perdonare.

Tito Vespasiano è uno dei personaggi più enigmatici e affascinanti dell’universo mozartiano. Attaccato, tradito, ingannato dalle persone a lui più vicine, invece di condannare sceglie la via della clemenza, rifiutando l'idea di governare attraverso la paura. Un gesto che, al di là della dimensione celebrativa per cui l'opera fu originariamente commissionata, continua a interrogarci.

Curran sottolinea: "Oggi la vendetta è quasi un riflesso condizionato. La politica sembra alimentarsi del nemico, dell'odio, della punizione. Tito ci mostra che il potere può essere un atto di responsabilità, non di dominio. Perdonare non è debolezza: è la forma più alta di forza".

A portare in vita la partitura mozartiana con l'Orchestra della Fenice è Ivor Bolton, direttore che da anni si muove con naturalezza tra barocco, classicismo e primo romanticismo. Per lui, "La clemenza di Tito" è un'opera che non smette mai di interrogare chi la esegue e chi l'ascolta: "Questa musica è un organismo vivo, in continua evoluzione. Ogni recita è un atto creativo. Un dipinto è immobile; un'opera d'arte come questa, invece, cambia con noi, con la sensibilità degli interpreti, con il mondo in cui viene rappresentata".

Bolton sottolinea come al centro del dramma mozartiano ci siano passioni elementari, fortissime: "La vendetta, l'amore, l'ambizione, la tenerezza. Il desiderio ardente di Sesto per Vitellia, l'ambizione feroce di Vitellia, la relazione affettuosa tra Annio e Servilia: tutto contribuisce a un intreccio profondamente umano ma anche intrinsecamente politico. È una storia di potere, e allo stesso tempo una storia di fragilità". Ciò che più lo colpisce, però, è la forza del finale: "La ricerca del bene è qualcosa che raramente associamo alla politica contemporanea. Tito è un esempio di leadership che dovremmo riscoprire".

A incarnare Tito sarà il tenore tedesco Daniel Behle, interprete raffinato e già noto al pubblico della Fenice. Accanto a lui, una Vitellia di grande temperamento affidata alla voce di Anastasia Bartoli. Tre debutti completano il cast principale: Cecilia Molinari, al suo primo Sesto; Nicolò Balducci come Annio; e Francesca Aspromonte nel ruolo di Servilia. Domenico Apollonio interpreta Publio. Il Coro è diretto da Alfonso Caiani. Bolton definisce la compagnia "straordinariamente ricettiva, capace di entrare nel cuore dell’opera con intensità e delicatezza".

"La clemenza di Tito" nacque in un contesto celebrativo: fu rappresentata per la prima volta a Praga il 6 settembre 1791, per l'incoronazione dell'imperatore Leopoldo II a re di Boemia. L'impresario Domenico Guardasoni commissionò la musica a Mozart, chiedendo a Caterino Mazzolà di rielaborare il celebre libretto metastasiano, un testo che nel Settecento aveva conosciuto un successo immenso e che era stato musicato da oltre quaranta compositori. Dopo il debutto praghese, la "Clemenza" conobbe un successo notevolissimo: nel 1794 trionfò a Vienna, anche grazie all'intervento di Constanze Mozart, e nel 1806 fu la prima opera mozartiana rappresentata a Londra. Per decenni restò un titolo tra i più amati, salvo poi cadere in una lunga ombra da cui solo il Novecento avanzato l'ha fatta emergere di nuovo.

Cosa rende allora così moderna un'opera nata alla fine del Settecento, in un contesto politico e culturale così diverso dal nostro? La risposta, per Curran, arriva dal cuore stesso del libretto: "Con ogni generazione, l'essere umano resta lo stesso. Le dinamiche del potere, la paura di perderlo, il desiderio di vendetta, la necessità del perdono: nulla è cambiato". E Bolton aggiunge: "Possiamo rispettare Mozart senza fingere di vivere nel XVIII secolo. L'equilibrio tra la sua intenzione e il nostro mondo è ciò che rende viva questa musica".

In un contesto internazionale attraversato da conflitti, estremismi e radicalizzazioni, "La clemenza di Tito" arriva alla Fenice come un invito a riflettere. Non è un'opera pacificata, né edificante. È una storia di tradimenti e di dolore, che culmina in un atto di perdono: un gesto che la politica contemporanea sembra spesso aver dimenticato. "Vorrei che soprattutto i giovani si chiedessero come si usa il potere", conclude Curran. "Per costruire o per distruggere? Tito ci costringe a guardare dentro di noi". (di Paolo Martini)

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