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Natale, le feste della comunità arbëreshë con i dolci e le pietanze della tradizione

16 dicembre 2023 | 15.24
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Tradizioni arbëreshë di Natale
Tradizioni arbëreshë di Natale

Dalle krispele, morbide frittelle a forma di ciambella riempite d'acciughe, alle ngjalë, meglio note come anguille. Il Natale della tradizione arbëreshë è ricco di specialità culinarie e usanze secolari, tutte da scoprire e rivivere, a partire dalla notte della Vigilia. Provenienti dall'Albania, dalla storica regione dell'Epiro - e giunti in Italia tra il XV e il XVIII secolo - gli Arbëreshë costituiscono oggi una delle principali minoranze etno-linguistiche d'Italia. In Calabria sono circa 58mila persone che abitano in 30 comuni e tre frazioni della regione, in particolare in provincia di Cosenza. Ed è proprio lì che le tradizioni si fanno più vive.

"Ad Acquaformosa prepariamo i tipici 'bocconotti'", racconta all'Adnkronos Gennaro Capparelli, sindaco del piccolo comune dell'entroterra calabro. "Possono essere riempiti con marmellata scura o chiara e con Nutella. Poi ogni famiglia prepara i dolci tipici delle feste, come le 'grispellet', in italiano chiamate 'crespelle', che sono delle frittelle dolci. Oppure i kruskulit, meglio noti come crustoli, che sono dei cannoli ricoperti di miele e zucchero. Da noi fa freddo - racconta ancora il primo cittadino - siamo ad 800 mt sul livello del mare, quindi non organizziamo eventi in piazza. Però tutti poi partecipano alla messa di Natale, che si svolge naturalmente con il rito greco-bizantino".

Le tradizioni sono varie e diversificate: a Falconara Albanese, ad esempio, un'antica usanza rispettata ancora oggi, vuole che il capofamiglia aiuti nella preparazione delle krispele - morbide frittelle a forma di ciambella riempite d'acciughe - reggendo il manico della padella. "A Firmo, in provincia di Cosenza, il dolce tipico è la çiçirata", spiega all'Adnkronos Vincenzo Cucci, presidente dell'associazione culturale 'Vatrarbereshe', che promuove il recupero e la salvaguardia della lingua arbëreshë. "La çiçirata è a base di farina, uova e un pizzico di sale. Si lavora la pasta ricavando dei bastoncini lunghi e sottili, che vengono poi tagliati come piccoli ceci". A S.Benedetto Ullano, invece, si usa confezionare in casa diversi tipi di dolci, tutti fritti in padella, a base di farina, tuorli d'uova, zucchero, miele, farinaccio.

"I dolci più diffusi e conosciuti - spiega ancora Cucci - sono gli skallilet (a base di farina impastati con uova a mo' di fusilli intrecciati in varie forme), i qenullilet, (a base di uova, lievito, farina, vino impastati e fritti nell'olio, ricoperti di zucchero a velo o di miele). Ma non solo. Tradizione vuole che a Natale si confezionino anche dei pani speciali fatti in casa (natallizet), dalle forme diverse, rappresentanti pupazzetti in atteggiamenti buffi e curiosi o che simboleggiano i momenti salienti delle festività, ovvero il Capodanno (kapudhani) e l'Epifania (Befania). Questi dolci vengono preparati in anticipo e consumati esclusivamente per le due occasioni. A Caraffa e Vena di Maida, si usa preparare in tutte le famiglie la petullelet a base di farina e patate, impastate come il pane, con forme circolari o allungate; poi ci sono i nakatulat, a base di latte, uova, zucchero e olio, che hanno invece la forma di uno gnocco gigante".

Durante la cena si consumano ben tredici portate, solitamente a base di pesce. Tipici sono i 'fillilet', una pasta lavorata col ferro di calza in modo da poter accogliere il sugo. Per quanto riguarda i secondi, seguendo la tradizione di pesce, sulle tavole si trovano 'ngjalë' (anguille) e 'bakalla' (baccalà). Ma c’è chi opta per il capretto arrostito assieme a patate o legumi, gratinato con pecorino e pangrattato; in alcuni paesi poi, i piatti non sono tredici, ma nove, come ad Acquaformosa. "Lì, tanto tempo fa - racconta ancora il presidente dell'associazione Vatrarbereshe - la sera della vigilia era consuetudine mangiare le tradizionali 'nove cose', cioè nove cibi differenti. Un tempo non si mangiava carne ma solo pesce, soprattutto l'anguilla (ngjala) e questa tradizione è ancora rispettata da tutti. Un vecchio detto recita: "Ngjala zihet me kripë., vaI, uj e kutunjol, petrosin, vasilikua e qepë (l'anguilla si cucina con sale, olio, acqua, pomodoro, prezzemolo, basilico e cipolla)", conclude Cucci.

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