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Houthi, analista Yemen: "Da Usa e Gb no sostegno a forze Aden, ma ora può cambiare"

Dopo la morte di tre marittimi in un attacco dei militanti sciiti, al-Muslimi dice: "Era solo questione di tempo". Il giornalista Algohbary: "Raid falliti, cruciali le prossime mosse della comunità internazionale"

(Afp)
(Afp)
07 marzo 2024 | 18.11
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Un attacco degli Houthi con vittime nel Mar Rosso "era solo una questione di tempo", a questo punto si rischia "un'ulteriore escalation", con Stati Uniti e Regno Unito, che finora hanno esitato nel sostegno alle forze di terra del governo yemenita riconosciuto dalla comunità internazionale con sede ad Aden, pronti a "cambiare" approccio. All'indomani dell'attacco contro la True confidence, costato la vita a tre marittimi - primi morti negli assalti che gli Houthi conducono contro le navi nel Mar Rosso "per solidarietà con Gaza", Farea al Muslimi, analista yemenita del think tank britannico Chatam House, commenta con l'Adnkronos gli ultimi sviluppi. E avverte: "Sarebbe una cattiva idea" se americani e britannici decidessero di sostenere le forze di terra, "non farebbe la differenza, tra l'altro Arabia Saudita ed Emirati ci hanno provato per nove anni e non ha funzionato".

Il rischio sarebbe "un'ulteriore escalation", sottolinea al Muslimi, che poi dice: "Non dovrebbe sorprendere che gli Houthi abbiano ucciso tre membri dell'equipaggio di una nave. Dopo aver sparato centinaia di razzi e droni, era solo questione di tempo prima che uno di questi andasse a bersaglio, non importa quanto siano sofisticate le capacità militari del Centcom, dei britannici o degli europei".

Per l'analista di Chatam House, "c'è ancora una possibilità che gli Houthi si fermino quando ci sarà un cessate il fuoco a Gaza. Ma come gli Houthi non hanno lasciato impunita l'uccisione di 10 militari della Marina da parte degli Stati Uniti, gli Stati Uniti e il Regno Unito faranno altrettanto. Probabilmente assisteremo a un'intensificazione degli attacchi aerei contro gli Houthi e viceversa. Stati Uniti e Regno Unito hanno anche esitato a sostenere le forze di terra yemenite nell'aprire un fronte contro gli Houthi. Ora le cose potrebbero cambiare".

Come potrebbe cambiare anche la posizione del Regno Unito sulla designazione dei miliziani yemeniti sostenuti dall'Iran come gruppo terroristico, come hanno già fatto gli Stati Uniti che li hanno reinseriti nella lista nera. La previsione di al Muslimi è che "gli Houthi risponderanno anche attaccando i cavi internet e dispiegando in mare nuove armi che finora non hanno usato. Inizieranno anche a coordinarsi con altri gruppi armati e criminali all'altro capo del Corno d'Africa per coordinare gli attacchi e scambiarsi armi".

"Il panico tra le compagnie di assicurazione e di navigazione è fondato", sostiene ancora l'esperto yemenita, convinto che "assisteremo a ulteriori escalation nel Mar Rosso, nel Golfo di Aden ed è questione di tempo prima che anche il Mar Arabico sia coinvolto. Di conseguenza, l'Iran è il più felice e più grande vincitore nell'assistere al collasso del Mar Rosso da un punto di vista economico".

E per al-Muslimi, se "finora l'Arabia Saudita e gli Emirati non hanno pagato un prezzo enorme rispetto all'Occidente per gli attacchi nel Mar Rosso, anche questo cambierà". Con il rischio di "un collasso degli attuali fragili accordi tra sauditi e houthi per porre fine alla guerra civile interna allo Yemen".

I raid di Stati Uniti e Regno Unito sono "falliti" e lo dimostra una volta di più l'attacco di ieri degli Houthi contro la nave "True confidence", costata la vita a tre marittimi, un attacco che rischia di innescare una spirale di ritorsioni, per cui le prossime mosse della comunità internazionale saranno "cruciali", fa eco il giornalista yemenita, Ahmad Algohbary, secondo cui quanto successo nelle ultime ore segnala "una preoccupante tendenza alla violenza che potrebbe sfociare in una più ampia escalation: la storia ci insegna che tali incidenti raramente rimangono isolati in conflitti di questa natura. Spesso innescano un ciclo di ritorsioni, rendendo ulteriori violenze non solo una possibilità, ma un esito probabile".

Dunque, afferma, "le prossime mosse della comunità internazionale sono cruciali: le loro azioni possono gettare benzina sul fuoco o aiutare a indirizzare la situazione verso la de-escalation". La convinzione di Algohbary è che finora "la comunità internazionale non ha agito in modo efficace e sta aggravando la situazione: gli attacchi degli Houthi sono arrivati dopo gli eventi di Gaza e l'unico modo, a mio avviso, per fermare l'escalation in Medio Oriente è porre fine alla guerra a Gaza".

I continui attacchi degli Houthi nonostante i raid di Stati Uniti e Regno Unito "sollevano seri interrogativi sull'efficacia di queste azioni, che a mio avviso sono fallite", è il parere del giornalista. Che però poi argomenta: "Tuttavia, dichiararli un vero e proprio fallimento solo sulla base di questi incidenti è troppo semplicistico. Conflitti come questi sono profondamente radicati in complessità storiche, politiche e sociali. Le azioni militari, pur avendo un certo impatto, sono solo uno strumento di una cassetta degli attrezzi molto più ampia, necessaria per affrontare questioni così sfaccettate. Questi sviluppi dovrebbero indurre a rivalutare la strategia, orientandosi verso un approccio complessivo che vada oltre la forza militare e includa gli sforzi diplomatici e umanitari".

(segue)

In questo contesto, secondo Algohbary, "l'idea di un cessate il fuoco offre un barlume di speranza, ma la possibilità di fermare efficacemente gli attacchi degli Houthi dipende da molto più che l'accordo stesso". "Il diavolo sta nei dettagli e nell'impegno di tutte le parti a cercare davvero la pace - dice - Realisticamente, gli Houthi potrebbero cessare i loro attacchi se la guerra a Gaza finisse, perché non avrebbero una scusa per continuare le loro operazioni nel Mar Rosso, nel Golfo di Aden e nel Mar Arabico. Ma i cessate il fuoco del passato sono stati fragili e spesso si sono interrotti a causa delle tensioni sottostanti e delle questioni irrisolte".

Quindi, chiosa, "perché un cessate il fuoco regga, deve essere parte di un processo di pace più ampio che affronti le cause profonde del conflitto, sostenuto da un solido appoggio internazionale e da efficaci meccanismi di monitoraggio. Solo allora potremo iniziare a immaginare uno scenario in cui il ciclo della violenza non sia solo sospeso, ma definitivamente interrotto".

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