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60 anni di Adnkronos, il ricordo di Paolo Valentino

Il giornalista: "Dal periodo di prova all'assunzione, in mezzo gli scoop sulla svalutazione della lira e Kissinger. Grazie Pippo Marra"

Paolo Valentino
Paolo Valentino
17 aprile 2024 | 14.54
LETTURA: 4 minuti

"Sarà che sto invecchiando, ma ogni volta che (casualmente) incontro Pippo Marra, alla stazione, in aeroporto, ad un evento, mi prende un velo di commozione. Lui in genere non mi riconosce subito. Io mi avvicino, gli stringo la mano e dico: “Ti ricordi di me? Sono Paolo Valentino, sei stato il primo direttore che mi ha fatto un contratto da giornalista”. Marra si scioglie in un sorriso e mi abbraccia.

Accadde nel 1983. Ero arrivato fresco di laurea due anni prima a Bruxelles, dove dopo uno stage alla Commissione europea, inseguivo il mio sogno di sempre, collaborando con qualunque testata italiana fosse disposta a pubblicare i miei pezzi: Paese Sera, Giornale di Sicilia, Quotidiani Associati, una piccola ma agguerrita newsletter in francese La Lettre Européenne, molto letta negli ambienti comunitari, fondata e diretta da Franco Papitto, il corrispondente di Repubblica. Fu lui, per me un amico e un maestro, a dirmi che l’Adnkronos cercava uno stringer a Bruxelles e che se avessi voluto, avrebbe segnalato il mio nome a Marra, suo conterraneo calabrese. Così fu. Ebbi un breve colloquio con il condirettore Raffaello Uboldi e cominciammo un periodo di prova, pagato a pezzo.

Non fu facile all’inizio. Di fare concorrenza all’Ansa non se ne parlava neppure: erano in quattro, sotto la guida di Giampiero Gramaglia e facevano copertura a tappeto. E io non avevo ancora una rete di contatti robusta. Con una eccezione: dentro il Parlamento europeo avevo pochi rivali. Decidemmo così di concentrarci su un paio di storie al giorno, possibilmente trovate in Parlamento e possibilmente solo nostre. I primi riscontri non tardarono: qua e là, alcuni quotidiani italiani iniziarono a pubblicare pezzi bruxellesi, firmati Adnkronos (allora usava!).

Poi arrivò il primo scoop e questo cambiò il mio status. Nella primavera 1983, dopo l’ennesima tempesta sui mercati monetari, ci fu un nuovo riallineamento nel Sistema Monetario Europeo, all’interno del quale la lira godeva di una banda di oscillazione superiore alle altre valute. La riunione dei ministri finanziari avvenne a Bruxelles e per un giorno e una notte noi giornalisti rimanemmo in una sala adiacente a quella dell’incontro ad aspettare. Non c’erano cellulari al tempo e lì c’erano solo un paio di telefoni fissi con linea esterna. Quando a metà mattino, dopo una notte insonne, arrivò la notizia che la lira era stata svalutata, prima ancora di avere la lista delle nuove parità monetarie, mi precipitai su uno di quei telefoni, chiamai l’agenzia e mi feci passare subito i dimafoni, circondato da colleghi che mi guardano tra l’infuriato e l’invidioso. Dettai venti righe a braccio, nel frattempo aiutato da quell’angelo di Papitto che mi mise sotto gli occhi il comunicato in francese con la nuova griglia. Pochi minuti dopo, la depeche di Adnkronos era sul tavolo di tutte le redazioni italiane. Prima dell’Ansa e perfino delle altre agenzie internazionali. Fu un trionfo, ricevetti un’affettuosa telefonata di complimenti di Pippo Marra e un telegramma di Uboldi.

Nel frattempo, nell’estate 1983, nasceva il governo Craxi e anche al vertice dell’agenzia ci fu un avvicendamento: vicedirettore vicario divenne Onofrio Pirrotta. Ebbi qualche incomprensione, all’inizio, con lui. Voleva una “copertura” molto politica e vicina al nuovo governo, non lo convinceva il tono “troppo freddo” delle mie storie. Ma a poco a poco cominciammo a piacerci, anche perché c’era il puntuale riscontro di pezzi firmati Adnkronos pubblicati tali e quali dal Corriere e da altri giornali. Di contratto fisso però, non se ne parlava.

La svolta avvenne nel 1985, complici Sandro Pertini e Henry Kissinger. Andò così. Era iniziata in Italia una raccolta di firme per candidare l’allora Presidente della Repubblica al Premio Nobel per la Pace. E proprio in quei giorni, a Bruxelles c’era una visita di Henry Kissinger, già privato cittadino ma sempre massima autorità mondiale sui rapporti Usa-Urss (si era ancora piena Guerra Fredda). Grazie ai miei contatti con l’ambasciata americana ero stato ammesso a un briefing riservato e off-the-record dell’ex segretario di Stato, che il Premio Nobel lo aveva ricevuto nel 1973 per la mediazione di pace sul Vietnam. Il tema era la nuova dirigenza sovietica, con l’elezione dell’ancora sconosciuto Michail Gorbaciov alla guida del Cremlino avvenuta pochi giorni prima.

Quando toccò a noi giornalisti, mi feci coraggio e alzai la mano per avere una domanda. Fui il terzo o il quarto, non ricordo. Tutti erano stati sul tema. Con un po’ di faccia tosta, mi scusai con Kissinger e gli chiesi cosa ne pensasse della candidatura di Pertini a Nobel per la Pace. Kissinger non si fece pregare e si lanciò in una dichiarazione di grande elogio e sostegno al presidente della Repubblica, definendolo fra l’altro “candidato ideale” che “meriterebbe sicuramente l’onorificenza”. Finito il briefing, corsi in ufficio (che condividevo con altri cinque colleghi) e buttai giù una ventina di righe che dettai al telefono ai dimafoni. Passarono poche ore e la “dichiarazione di Kissinger all’Adnkronos sul Nobel a Pertini” era il titolo di apertura dei TG di metà giornata. Il resto è storia.

Ricordo ancora la telefonata di Pippo Marra la mattina dopo, che dopo avermi riempito di complimenti mi invitava ad andare a Roma appena possibile per firmare il contratto da Articolo 2, come mi aveva promesso da tempo. Da quel momento seppi che avrei fatto questo mestiere per tutta la vita. Grazie ancora direttore". (Paolo Valentino)

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