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La comunità curda scende in piazza a Milano: "Servono aiuti, non armi"

20 agosto 2014 | 19.58
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Un centinaio di manifestanti si sono riuniti in Duomo per chiedere che "venga bloccato un massacro su cui tutto il mondo tace" e che "non risparmia anziani, donne e bambini". L'organizzatore: "Manca qualsiasi genere di prima necessità, c'è bisogno di cibo, acqua e medicine"

Foto Adnkronos
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Non armi, ma aiuti umanitari perché bisogna bloccare una strage su cui il mondo tace. E' questo il leitmotiv dei curdi, neanche un centinaio, che nel pomeriggio di mercoledì hanno manifestato in piazza Duomo a Milano rivolgendosi a istituzioni, associazioni e cittadini perché si impegnino a "informare, sensibilizzare e creare momenti di pressione verso il governo affinché intervenga concretamente e tempestivamente per condannare e bloccare gli aiuti ai jiahidisti" dell'Isis (ora ridefinitosi Is, Stato islamico), gli estremisti sunniti che stanno costituendo un califfato tra Iraq e Siria, guidato da Abu-Bakr al-Baghdadi. Nel giorno della visita del premier Matteo Renzi in Iraq, del via libera dai senatori e dai deputati all'invio delle armi italiane ai curdi nel tentativo di fermare l'avanzata dell'esercito dell'Isis nel Paese, e delle parole del ministro degli Esteri, Federica Mogherini - "intervenire è dovere morale" - la Comunità curda di Milano, circa tremila le presenze stimate in città e nell'hinterland, si rivolge al governo perché "si impegni per fermare un massacro che non risparmia anziani, donne e bambini". "Non credo che le armi siano la soluzione - spiega Erdal Karaman, tra gli organizzatori della manifestazione in piazza Duomo - anche perché di armi ce ne sono fin troppe. C'è una popolazione massacrata che si deve difendere, ma ancor di più c'è bisogno di aiuti umanitari perché manca qualsiasi genere di prima necessità, cibo, acqua e medicine". "Chiediamo al governo - gli fa eco il fratello Emrah, 25 anni - che si faccia pressione per capire chi c'è dietro questa organizzazione di terroristi, chi la appoggia e la finanzia, chi insomma promuove questo massacro. L'Europa da sempre si dice paladina dei diritti umani, ecco invii aiuti umanitari e non armi, perché di emergenza umanitaria si tratta".

Tra le poche donne presenti alla manifestazione c'è anche chi sottolinea come in piazza "non dovrebbe esserci solo il popolo curdo, ma tutti i cittadini e tante donne. Nel corso dell'aggressione a Sengal, cinquecento donne yazide sono state violentate, incatenate e fatte prigioniere per essere vendute sul mercato come schiave". Gli attacchi delle armate dell'Isis hanno prodotto anche "centinaia di migliaia di profughi, cinquantamila soltanto verso il Rojava, ed è emergenza umanitaria", racconta un giovane curdo che ha diversi parenti tra chi, ormai da oltre un mese, è in fuga verso una terra sicura. "Siamo qui perché vogliamo risvegliare la coscienza di tutti - spiega Ismail Orde, un altro tra gli organizzatori -. Non possiamo tacere su questi temi, bisogna dire no a questi genocidi. Noi come popolo curdo siamo sensibili ai temi umanitari, ma siamo anche qui per dire che ogni governo, di ogni stato europeo, deve fare la sua parte. Non servono le armi, bisogna bloccare le morti non incrementarle, abbiamo bisogno di aiuti umanitari, di mandarli davvero dove servono, è questo che deve fare l'Italia e l'Europa".

Per un popolo che lotta per il diritto all'esistenza, numericamente è il quarto del Medio Oriente dopo arabi, persiani e turchi, si stima siano fra 35 e 40 milioni in un territorio compreso tra Iran, Iraq, Siria, Turchia e in misura minore Armenia, la vera soluzione "non è quella della violenza fisica e psicologica", sostiene Orde. "Siamo qui - dice un altro manifestante - per mettere pressione al governo italiano, ma anche perché gli altri governi europei si schierino con forza contro questo massacro che è davvero la terza guerra mondiale perché mentre la popolazione muore c'è qualcuno che ci marcia e ci guadagna".

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