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Libia, dall'ambasciatore al Cairo appello all'Italia per una "mediazione"

01 settembre 2014 | 16.16
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Mohamed Jibril, in un'intervista ad Aki-Adnkronos International: "Convincere tutti che l'unico modo per uscire dalla crisi è il dialogo"

Foto Infophoto - INFOPHOTO
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Il Cairo, 1 set. (Adnkronos/Aki) - "Convincere le forze in campo in Libia che le armi non sono la soluzione e che l'unico modo per uscire dalla crisi è il dialogo". E' lo sforzo che l'ambasciatore libico al Cairo, Mohamed Jibril, chiede all'Italia di compiere. In un'intervista ad Aki-Adnkronos International, il diplomatico dice di aspettarsi dall'Italia, partner privilegiato della Libia, una "mediazione" tra le varie forze che contribuiscono alla continua escalation della crisi in corso nel suo paese.

"L'Italia - dice ancora il diplomatico - sostenga le nostre istituzioni, ci aiuti a consegnare loro pieni poteri e soprattutto spinga gli altri Stati a darci il loro sostegno, a mettere il nostro Paese in condizione di controllare il suo territorio, le sue infrastrutture, i suoi aeroporti, il suo petrolio e le sedi delle sue istituzioni". Questo, precisa Jibril, "nel rispetto dell'indipendenza della Libia".

L'appello dell'ambasciatore arriva dopo che il governo ad interim libico ha annunciato che molti degli edifici pubblici di Tripoli, oltre al suo aeroporto e ad altre infrastrutture, sono occupati dalle milizie. E dopo che il parlamento, che per motivi di sicurezza non si riunisce nella capitale ma a Tobruk, ha nuovamente incaricato il premier dimissionario Abdullah al-Thinni di formare un nuovo governo.

La scorsa settimana, in una riunione al Cairo con i paesi vicini della Libia, Jibril aveva parlato di "forme di intervento internazionale possibili" per aiutare il paese a proteggere giacimenti petroliferi, aeroporti e altre infrastrutture statali. Nell'intervista ad Aki, l'ambasciatore precisa di non essersi mai riferito a un intervento militare. "Ho chiesto - ha detto - che ci sia dato il supporto di cui abbiamo bisogno, che non è necessariamente militare".

Un supporto che, per essere efficace, va programmato in una dimensione africana e non esclusivamente libica. "I più gravi problemi con cui ci confrontiamo, dal terrorismo, ai flussi di migranti irregolari, ai traffici di ogni tipo - chiarisce l'ambasciatore - sono legati al fatto che l'Africa vive situazioni complicate di instabilità e povertà. Bisogna che gli stati e le organizzazioni internazionali si occupino di questi problemi".

Un messaggio che, anche questa volta, viene rivolto soprattutto all'Italia, che è la prima destinataria dei flussi di immigrati irregolari partiti dalla Libia. "Noi, con il ruolo chiave che svolgiamo in Africa, vogliamo essere parte della soluzione e non del problema", assicura il diplomatico.

Del paese in cui è ambasciatore, l'Egitto, Jibril dice che ha un buon livello di cooperazione con la vicina Libia, "perché sa che la nostra sicurezza è la sua sicurezza". Questa cooperazione - puntualizza - deve "rispettare la nostra sovranità nazionale e il volere del nostro popolo. I libici rifiutano di essere soggetti ad agende straniere. Tutti i paesi vicini sanno di dover rispettare l'indipendenza della Libia nonché gli accordi internazionali".

E sui jet che a metà agosto hanno colpito alcune postazioni delle milizie islamiche nei pressi dell'aeroporto di Tripoli e che, secondo il New York Times, sarebbero partiti da basi egiziane, il diplomatico si limita a dichiarare che "il Cairo ha smentito, mentre l'ex generale libico Khalifa Haftar ha rivendicato l'operazione. Su quello che sostengono alcuni media non ho niente da dire, se non che l'unico modo per intervenire militarmente in un paese straniero è attraverso la Nato".

L'ambasciatore Jibril traccia infine un parallelo tra il caos a cui si assiste nel suo paese e quello che accade in Siria e in Iraq, dove i jihadisti dello Stato islamico hanno preso il controllo di ampie regioni e hanno proclamato un califfato. "Si tratta certamente di situazioni molto diverse - dice - ma con un presupposto comune: le dittature pluridecennali che hanno lasciato un enorme vuoto" in cui terrorismo ed estremismo hanno trovato terreno fertile.

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