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Riforme, documento di 50 costituzionalisti: "Contrari a testo che crea disfunzioni"

22 aprile 2016 | 17.50
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"Pur essendo convinti dell’opportunità di interventi riformatori che investano l’attuale bicameralismo e i rapporti fra Stato e Regioni, l’orientamento che esprimiamo è contrario, nel merito, a questo testo di riforma". E' quanto si legge in un documento sul testo di modifica costituzionale approvato recentemente dal Parlamento, sottoscritto da una cinquantina di studiosi di diritto, tra i quali gli ex presidenti della Corte Costituzionale Valerio Onida, Antonio Baldassarre, Gustavo Zagrebelsky, Giovanni Maria Flick, Ugo De Siervo, Franco Gallo, Francesco Amirante, Franco Bile, Francesco Casavola, Riccardo Chieppa, Alfonso Quaranta. Tra le firme anche quelle di Enzo Cheli, Luigi Mazzella, Andrea Manzella, Lorenza Carlassarre, Fulco Lanchester, Guido Neppi Modona.

"Non siamo fra coloro che indicano questa riforma come l’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo. Siamo però preoccupati - scrivono gli autori del documento - che un processo di riforma, pur originato da condivisibili intenti di miglioramento della funzionalità delle nostre istituzioni, si sia tradotto infine, per i contenuti ad esso dati e per le modalità del suo esame e della sua approvazione parlamentare, nonché della sua presentazione al pubblico in vista del voto popolare, in una potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale e nell’appannamento di alcuni dei criteri portanti dell’impianto e dello spirito della Costituzione".

Ciò che preoccupa innanzi tutto è il fatto che il testo non sia il frutto "di un consenso maturato fra le forze politiche" e che "ora addirittura la sua approvazione referendaria sia presentata agli elettori come decisione determinante ai fini della permanenza o meno in carica di un governo".

Il precedente che preoccupa è quello del 2001, quando "la riforma del titolo V, approvata in Parlamento con una ristretta maggioranza, e pur avallata dal successivo referendum, è stato un errore da molte parti riconosciuto, e si è dimostrata più fonte di conflitti che di reale miglioramento delle istituzioni".

Entrando nel merito, si definisce "largamente condiviso e condivisibile" il superamento del bicameralismo paritario, ma "si è configurato un Senato estremamente indebolito, privo delle funzioni essenziali per realizzare un vero regionalismo cooperativo".

Inoltre viene a mancare un riequilibrio dal punto di vista numerico delle componenti del Parlamento in seduta comune, "che è chiamato ad eleggere organi di garanzia come il Presidente della Repubblica e una parte dell’organo di governo della magistratura: così che queste delicate scelte rischierebbero di ricadere anch’esse nella sfera di influenza dominante del governo attraverso il controllo della propria maggioranza, specie se il sistema di elezione della Camera fosse improntato (come lo è secondo la legge da poco approvata) a un forte effetto maggioritario".

"Rischi di incertezze e conflitti", scrivono ancora gli autori del documento, sono poi insiti nella "pluralità di procedimenti legislativi differenziati a seconda delle diverse modalità di intervento del nuovo Senato".

Quanto al federalismo, la necessità di superare i conflitti tra Stato e Regioni generati dalla riforma del 2001 porta ad un rovesciamento dell'impostazione seguita quindici anni fa, tanto che "l’assetto regionale della Repubblica uscirebbe fortemente indebolito attraverso un riparto di competenze che alle Regioni toglierebbe quasi ogni spazio di competenza legislativa, facendone organismi privi di reale autonomia, e senza garantire adeguatamente i loro poteri e le loro responsabilità anche sul piano finanziario e fiscale".

Quanto al tema della riduzione dei costi della politica, per i firmatari del documento "il buon funzionamento delle istituzioni non è prima di tutto un problema di costi legati al numero di persone investite di cariche pubbliche (costi sui quali invece è giusto intervenire, come solo in parte si è fatto finora, attraverso la legislazione ordinaria), bensì di equilibrio fra organi diversi, e di potenziamento, non di indebolimento, delle rappresentanze elettive".

Criticità che non vengono soppesate da aspetti positivi, quali "la restrizione del potere del governo di adottare decreti legge, e la contestuale previsione di tempi certi per il voto della Camera" sui progetti dell'esecutivo; "la previsione della possibilità di sottoporre in via preventiva alla Corte costituzionale le leggi elettorali; la promessa di una nuova legge costituzionale che preveda referendum propositivi e di indirizzo e altre forme di consultazione popolare".

Infine vengono manifestate perplessità su un referendum basato "su un unico quesito, di approvazione o no dell’intera riforma", perché "l’elettore sarebbe costretto ad un voto unico, su un testo non omogeneo, facendo prevalere, in un senso o nell’altro, ragioni 'politiche' estranee al merito della legge".

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