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Pensioni in fuga

15 marzo 2018 | 17.09
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Delle oltre 370mila pensioni pagate all'estero il 16%, oltre 59mila assegni, sono frutto di contributi versati interamente in Italia. Pensioni queste che hanno perciò scelto di migrare volontariamente dal nostro Paese a causa del costo della vita e dei vantaggi fiscali. A calcolare il fenomeno non ancora molto rilevante per dimensione ma di grande interesse sociale è il Quinto Rapporto Itinerari Previdenziali.

Nel 2016, infatti, si legge nel Rapporto, sono state 373.265 le prestazioni pensionistiche liquidate all’estero, da ripartire tra cittadini italiani (l’82,6%) e stranieri (il 17,4%): circa 160 i diversi Paesi coinvolti per un importo complessivo pari a 1.057.428.584 euro. Destinata in Europa la maggior parte dei pagamenti; seguono l’America Settentrionale, l’Oceania e l’America Meridionale. Di queste oltre 373.265 prestazioni, in prevalenza, pensioni di vecchiaia (227.367), seguite per numerosità da pensioni ai superstiti (132.479) e da pensioni di invalidità (13.419), sono calcolate “in regime di convenzione internazionale”, vale a dire frutto di contributi versati in parte in Italia e in parte all’estero (le convenzioni tra l’Italia e gli altri Paesi rendono di norma possibile la totalizzazione), mentre il restante 16%, pari a 59.537 prestazioni, riguarda le pensioni calcolate in “regime nazionale”, la cui contribuzione è stata cioè interamente versata in Italia.

Benché di rilievo numerico ancora contenuto, si legge ancora, "i dati obbligano quindi a fare i conti con i pensionati italiani che “fuggono” verso l’estero che pare riconducibile a due ragioni principali: il costo della vita e i possibili vantaggi fiscali". Il pensionato che risiede all’estero per di più di 6 mesi infatti, si legge ancora, può chiedere all’Inps il pagamento della pensione al lordo delle tasse, optando per la tassazione esclusiva nel Paese di residenza oppure per l’applicazione del trattamento fiscale più favorevole. In questi casi, l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale mette in pagamento la pensione al lordo della tassazione, che viene successivamente applicata secondo il regime fiscale vigente nel Paese estero di residenza.

Nel solo periodo d’imposta 2016 le richieste per l’applicazione delle convenzioni internazionali contro la doppia imposizione sono state 55.238 (quasi il 15% del totale pagato all’estero): Australia, Germania, Svizzera, Canada, Belgio e Austria i Paesi che registrano la maggior concentrazione di pensionati detassati parzialmente o integralmente; ma un discreto successo di attrazione dei pensionati lo ottengono il Portogallo, la Tunisia e le Canarie.

Ma quale, dunque, il carico fiscale sulle pensioni italiane? Per il 2016 l’ammontare totale dell’Irpef sulle pensioni è stato pari a 49,773 miliardi di euro: su poco più di 16 milioni di pensionati, oltre 8,2 milioni evidenziano però prestazioni tra 1 e 2,5 volte il minimo sulle quali, per via anche delle detrazioni, non pagano imposte; altri 2 milioni (tra 2,5 e 3 volte il minimo) pagano un’imposta modestissima. Il successivo scaglione (da 3 a 4 volte il minimo), con oltre 2,5 milioni di pensionati, versa in media un’imposta appena sufficiente a pagarsi la sanità pubblica (1.850 euro pro capite la media italiana).

Sono dunque di fatto poco più di 3 milioni i pensionati pubblici e privati, prosegue il Rapporto di Itinerari previdenziali, che si accollano la gran parte dei circa 49,8 miliardi di Irpef, cui si aggiungono i 3,4 miliardi di addizionale regionale e 1,4 miliardi di addizionale comunale: l’intero onere fiscale grava su quasi il 20% dei pensionati (31% se si considera lo scaglione da 3 a 4 volte il minimo) e, in particolare, su 1,4 milioni che hanno pensioni sopra i 3mila euro lordi al mese. Non solo. Se si guarda alla ripartizione del carico fiscale per gestione, si può notare ad esempio che i dipendenti pubblici - circa il 17% del totale dei pensionati - pagano da soli 15,1 miliardi, circa 1/3 di tutte le tasse sulle pensioni.

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