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Consorzio Valpolicella punta alla Cina, sì a nuovi accordi commerciali

19 ottobre 2017 | 19.03
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Valpolicella
Valpolicella

Nell'arco dei prossimi tre anni il business del vino in Cina è destinato ad aumentare, sia in termini qualitativi che quantitativi, e l'Italia potrebbe essere uno dei principali Paesi, nel mondo, a beneficiare della crescita dei consumi in quell'area. Cosa serve alle aziende del Made in Italy per farcela? Più che nuova liquidità, servono nuovi accordi commerciali.

Ne è convinta Olga Bussinello, direttore del Consorzio Vini Valpolicella, che intende favorire l'internazionalizzazione delle sue 300 aziende con un viaggio appena cominciato per i mercati esteri più promettenti.

Dopo la tappa in Ucraina, venerdì 20 ottobre il consorzio parte alla volta degli Stati Uniti, per poi volare a Hong Kong e, infine, a novembre, in Canada, dove è significativa la crescita del vino tra le bevande alcoliche. La Cina, però, resta il mercato più aggredibile.

"In Cina il mercato dei vini rossi vale 11 mld di euro e l'Italia se ne prende circa 4,5 mld: c'è spazio per migliorare", sottolinea all'Adnkronos Bussinello. Anche perché, spiega, il Governo di Pechino "sta lavorando per sviluppare la produzione interna di vino: ha commissionato a un gruppo di enologi francesi l'individuazione di aree a vocazione vinicola e sta iniziando una sua produzione".

Questo non farà concorrenza all'Italia, anzi. "E' una forma di acculturamento verso il prodotto che può favorirci: se il Governo produce vino, deve promuoverne il consumo, quindi agevolerà i competitor che arrivano dall'esterno determinando un'apertura del mercato al consumo del vino".

Per il settore, il 2017 è stato, a differenza del 2016, "un anno di consolidamento e mantenimento delle quote di mercato: si è dovuto gestire con intelligenza un anno di forte crescita come quello precedente". Il problema, dice Olga Bussinello, è che come sistema Italia "siamo in competizione con il mondo intero e con Paesi che hanno elevate quantità di prodotto e quindi prezzi più competitivi: Cile, California, Australia e Sud Africa".

A penalizzare l'Italia è il fatto che "non ha accordi di ingresso a tassazione zero con molti mercati. In Cina per entrare paghiamo le tasse, mentre il Cile, ad esempio, entra a costo zero perché ha fatto accordi con il governo cinese". L'Unione europea avrebbe dovuto fare la sua parte: "L'Europa è mancata rispetto a questi temi, soprattutto con un mercato emergente come la Cina che ha potenzialità di consumo molto elevate e in cui potremmo starci tutti, francesi, austriaci, italiani e spagnoli", ribadisce.

Un accordo con la Cina sarebbe "un elemento di vantaggio in più per tutto il Vecchio Continente". Bisogna ragionare sui dazi, ma anche su "tempi di sdoganamento più brevi e agevolazioni rispetto agli sbarramenti all'ingresso di alcuni Paesi dovuti a contratti con la gdo: sono costi che pesano sulle aziende vinicole".

La liquidità non è un problema ("le banche ci finanziano, il settore agroalimentare vive un buon momento"). Piuttosto, "bisogna lavorare su costi aggiuntivi e sui prezzi, puntando sui nostri vitigni autoctoni, di cui la Francia è sprovvista, e sulle 400 denominazioni che identificano e raccontano il nostro territorio".

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