L'imprenditore, che sta scontando una condanna di quasi 7 anni per due casi di violenza sessuale e detenzione e cessione di stupefacenti, è indagato per altri episodi di violenze, intralcio alla giustizia e detenzione di materiale pedopornografico
“Meno male che mi avete arrestato, mi avete salvato” dalla droga e da una vita di eccessi: questo a grandi linee il messaggio che Alberto Genovese ha portato al procuratore aggiunto di Milano Letizia Mannella e ai pm Rosaria Stagnaro e Paolo Filippini, che lo hanno interrogato oggi in procura in merito alla seconda tranche dell’inchiesta. L’imprenditore digitale, che sta scontando in carcere una condanna di quasi 7 anni per due casi di violenza sessuale e detenzione e cessione di stupefacenti, è infatti indagato per altri episodi di violenze, intralcio alla giustizia e detenzione di materiale pedopornografico. Accusa quest'ultima che l'ex re delle startup oggi - a quanto si apprende - avrebbe "lievemente" ammesso.
La spiegazione che Genovese fornisce dei vari episodi che gli vengono contestati è la stessa mantenuta anche in precedenza: le violenze si sono consumate in un contesto caratterizzato dall’abuso di alcol e droga e sono stati questi eccessi a indurlo in errore. Ora, però, a due anni e mezzo dall’arresto, avvenuto nel novembre 2020, e dopo un periodo ai domiciliari in una comunità terapeutica per disintossicarsi, l’imprenditore digitale sta molto meglio, come ha più volte ribadito oggi ai pm. Nel carcere di Bollate, dove è stato trasferito quattro mesi fa – a quanto si apprende – Genovese segue tutte le attività organizzate dall’istituto penitenziario.