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Bollette luce, solo 3 consumatori su 10 accetterebbero aumento per tutela ambiente

Un’ostilità che ha delle ripercussioni pratiche: per le aziende del settore è uno dei fattori che rendono più difficile la transizione ecologica

Energia pulita
Energia pulita
11 ottobre 2023 | 17.10
LETTURA: 6 minuti

I consumatori sono sempre più preoccupati per l’ambiente, ma non sembrano disposti a fare troppi sacrifici per tutelarlo. Neanche per quanto riguarda la bolletta della luce: solo 3 su 10 accetterebbero un aumento del 2% per contribuire alla transizione energetica. Si tratta di un’opposizione che ha delle ripercussioni pratiche, essendo citata dalle aziende del settore come uno dei fattori che più rendono difficile il passaggio a sistemi produttivi e distributivi maggiormente ecologici. E’ la fotografia, non incoraggiante, scattata dal terzo report annuale di Bain & Company, dedicato al settore Energy&Natural Resources.

La survey, svolta su oltre 600 dirigenti di 125 imprese in 46 Paesi, analizza le opinioni e i comportamenti delle aziende circa il progresso della transizione green, come stanno gestendo i cambiamenti e quali barriere vedono di fronte a sé. Quest’anno, gli executives hanno affermato di aspettarsi nel breve periodo (entro il 2030) un rallentamento nel tasso di decarbonizzazione, ma le loro aspettative di lungo periodo rimangono molto positive.

La distanza tra teoria e pratica nel percorso verso il net zero

Non solo dal lato clienti c’è una certa distanza tra teoria e pratica nel percorso green. Anche da parte delle aziende ci sono difficoltà. Lo dimostra il fatto che gli investimenti in energia pulita sono inferiori a quelli necessari per raggiungere gli obiettivi di transizione (ovvero il net zero entro il 2050): secondo le stime dell’International Energy Agency (IEA) occorrerebbe triplicare gli investimenti infrastrutturali annuali in energia green per raggiungere i traguardi prefissati.

E invece questo non sembra essere una priorità per le aziende del settore, tanto che gli utili vengono redistribuiti agli azionisti invece di essere reinvestiti. I dirigenti confermano infatti che per il 2023 prevedono di destinare solo il 25% circa del capitale totale alla crescita di nuove aree a basso impatto ambientale.

In particolare, nel 2022 nel settore Oil & Gas solo il 43% del capitale è stato reinvestito per crescita e innovazione, in calo rispetto al 58% del 2018. Nel settore Mining la quota reinvestita è stata pari al 44%, in calo rispetto al 56%. Nel segmento Utility, infine, il capitale reinvestito per la crescita è costante e le spese in conto capitale sono in aumento, ma non sufficienti per raggiungere i livelli di energia rinnovabile e di elettrificazione necessari.

In questo contesto, il 36% dei dirigenti ritiene comunque che le proprie aziende siano più avanti sulla strada del net zero rispetto ai loro competitor e il 67% pensa che si stiano muovendo più velocemente del mondo nel suo complesso.

Eppure in ballo non ci sono solo degli ‘ideali’ o la sopravvivenza del genere umano (o quantomeno della civiltà come la conosciamo in Occidente), ma anche l’economia stessa: la transizione potrebbe generare ogni anno minimo 55 miliardi di dollari di margini incrementali se le aziende si avvicinassero al livello di investimenti richiesto.

Gli ostacoli

Diversi sono gli ostacoli di cui è lastricata la via della transizione energetica. Uno è sicuramente il contesto geopolitico mondiale, su tutti la guerra in Ucraina scoppiata nel 2022. Un evento che ha avuto un duplice effetto nel settore energetico (oltre all’aumento dei prezzi): da una parte l'attenzione degli investimenti si è spostata su come rendere l’energia accessibile a breve termine, dall’altra si è accelerata la corsa alle energie rinnovabili, dato che l’obiettivo di Paesi e aziende è diventato quello di essere più autosufficienti.

“Negli ultimi 18 mesi, la sicurezza energetica ha assunto un ruolo di primo piano nell’agenda mondiale. L’equilibrio tra approvvigionamento energetico e cambiamento climatico rappresenta una sfida enorme, che richiede un cambiamento, per portata e tempistiche, senza precedenti e, soprattutto, importanti investimenti infrastrutturali. Sbloccare il capitale si dimostra complesso per le aziende, che faticano a definire percorsi che consentano di ottenere ritorni sugli investimenti in relazione con il profilo di rischio mappato”, spiega Roberto Prioreschi, Semea Regional Managing Partner di Bain & Company.

In ogni caso, evidenzia il report di Bain, non c’è un problema di fondi: solo il 19% dei dirigenti intervistati considera la scarsità di capitale come un ostacolo all'espansione delle attività a basse emissioni di carbonio.

Quello che preoccupa maggiormente le aziende, invece, è la quasi nulla disponibilità da parte dei clienti a pagare di più per partecipare attivamente a un percorso green: per il 78% degli intervistati è questo il principale intralcio alla decarbonizzazione, perché va a influire sulla capacità di creare rendimenti accettabili sui progetti green e rende difficile scalare le imprese a basse emissioni di carbonio. Le aziende perciò guardano alla politica e al supporto normativo per colmare il divario.

A seguire, sono considerati come ostacoli la mancanza di chiarezza regolatoria e la lentezza delle autorizzazioni, anche laddove il contesto politico è più facilitante. La maggior parte dei dirigenti delle utility nordamericane le ha citate tra le principali preoccupazioni, sebbene considerino la politica molto meno un ostacolo rispetto alle loro controparti in Europa e in Asia. A tal proposito, l'Unione europea ha annunciato un progetto di regolamento che mira a ridurre i tempi di autorizzazione per i grandi progetti di transizione energetica a non più di 12 mesi.

Tra gli altri impedimenti citati, con minor peso, ci sono i fornitori di servizi (appaltatori di ingegneria, approvvigionamento e costruzione, società di manutenzione, ecc), la disponibilità di tecnologia (aspetto critico nella regione Asia-Pacifico) e la mancanza di comprensione da parte dei responsabili politici, dei media e del pubblico sull'interconnessione del sistema energetico.

Una nuova relazione con i consumatori

I consumatori dunque sono ostili verso un’eventuale aumento in bolletta, anche basso, per contribuire alla transizione green. Preferiscono invece misure quali l’aumento delle tasse sulle famiglie benestanti e l’intervento del governo per abbassare i prezzi delle nuove tecnologie.

Quest’opposizione apre diversi campi di riflessione: se da una parte infatti gli ultimi anni, tra pandemia, guerre, tensioni geopolitiche e inflazione galoppante, hanno impoverito il ceto medio e spinto verso la povertà anche chi prima viveva dignitosamente, dall’altra parte le aziende energetiche dovrebbero pensare a costruire nuove relazioni con i clienti.

Occorre un cambiamento culturale, sottolinea il report Bain, che renda tutti consapevoli di essere responsabili e protagonisti della transizione, anche attraverso iniziative di CSR e il coinvolgimento soprattutto dei giovani. Altrimenti un aumento rimarrà solo un aumento.

“Il settore deve accelerare gli investimenti e compiere, senza esitazione, scelte strategiche nella direzione dell’innovazione e della modellazione di nuovi rapporti con i consumatori, trovando un compromesso tra la necessità di adeguati ritorni sugli investimenti e l’opportunità di guidare il processo di transizione. I consumatori, preoccupati per il cambiamento climatico ma non disposti a pagare bollette più onerose, hanno bisogno di costruire con le aziende nuovi patti di collaborazione e fiducia, possibili solo grazie a proposte improntate a una lettura innovativa dei bisogni, alla qualità delle soluzioni e alla massima trasparenza. Adeguati interventi sul piano regolatorio e l’immissione di strumenti di finanza pubblica diventano fattori abilitanti fondamentali per l’accelerazione necessaria”, conclude Alessandro Cadei, senior partner e responsabile Emea della Practice Energy & Utilities di Bain & Company.

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