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Il piano Rearm Eu e la difesa comune, a che punto siamo

11 aprile 2025 | 15.51
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Il dibattitto sul Piano di riarmo della UE resta particolarmente acceso, soprattutto in Italia. Ma a che punto siamo con l’idea di una difesa comune in Europa? E a che punto è il piano Rearm Eu ipotizzato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen? Sul primo fronte, pesa il fattore tempo, servono anni per ipotizzare i primi risultati concreti, e pesano le diverse aspirazioni degli Stati membri. Un elemento, questo, che è emerso chiaramente durante l’ultima riunione del Consiglio Ue, che ha prodotto il via libera (senza Ungheria) al sostegno all’Ucraina e un sì di principio, e quindi solo simbolico, al piano Rearm Ue. Tutto è rimandato a giugno, con diversi nodi da affrontare per tradurre il principio in azione concreta. In particolare, l’Europa si muove ancora in ordine sparso sulle risorse da impiegare e sulle modalità per farlo. Rispetto alla struttura ipotizzata, ci sono resistenze e spiragli di consenso a geometria variabile. I Paesi che hanno un debito alto, a partire da Italia e Francia, temono effetti negativi per i propri conti pubblici. Timori che potrebbero consigliare di non chiedere né le deroghe al patto di Stabilità né i prestiti offerti dalla Commissione. Bruxelles ha proposto di attivare la clausola nazionale, che permette di investire fino all’1,5% del Pil nella difesa per mobilitare 650 miliardi in quattro anni. Il problema è che si tratta di somme che non saranno conteggiate nel deficit, quindi non impattano sulle procedure d’infrazione, ma faranno aumentare il debito e quindi spingeranno gli investitori a chiedere interessi più alti. Altrettanti dubbi, altri Paesi li prospettano anche per i 150 miliardi di prestiti diretti dell’Europa con il piano ‘Safe’, garantiti dal bilancio Ue. Il vantaggio in questo caso è nella possibilità di indebitarsi a un tasso ridotto ma sono risorse che in ogni caso gli Stati devono restituire. È il motivo per cui la Spagna spinge per i contributi a fondo perduto da parte dell’Europa. D’altra parte, la Germania non è interessata ai prestiti, visto che si indebita da sola a tassi inferiori, e preferirebbe allargare ancora le maglie del Patto di Stabilità, allungando la durata della deroga oltre i quattro anni. Poi ci sono i Paesi frugali, come l’Olanda, che restano contrari a qualsiasi forma di debito, con la conseguenza che il nuovo debito comune rischia di non essere sfruttato. Ci sarebbe anche un’altra strada: la proposta italiana sui capitali privati, usando meccanismi come InvestEu, che attraverso garanzie pubbliche potrebbero arrivare a mobilitare fino a 200 miliardi di fondi. In questo scenario, Bruxelles deve fare i conti anche con la richiesta americana di portare i fondi per la difesa dal 2 al 3% del Pil. Anche in questo caso, se ne parlerà a giugno, al vertice Nato. I margini di manovra sono stretti, considerando che un rifiuto della Ue potrebbe dare a Trump un alibi per smarcarsi dall’Alleanza atlantica. Tra una manifestazione e l'altra, andranno prese le decisioni che servono a ridare un ruolo all'Europa, in un contesto ulteriormente complicato dai dazi e dalla guerra commerciale che ne può derivare.

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