Un'insegnante riflette: "Dove eravamo quando il rapper ha conquistato il disco di platino nel 2017? Sia occasione di dialogo con i figli"
‘Famiglia Cristiana’ promuove il ‘rapper della discordia’. Il settimanale cattolico non solo non invoca alcuna censura nei confronti della sua partecipazione a Sanremo ma rivolge l’invito a farne un’occasione di dialogo, anche sul linguaggio del rap, con i propri figli.
Nelle sette pagine che ‘Famiglia Cristiana’ dedica al festival, oltre ad un’intervista ad Amadeus e alle pagelle (dove ‘No, grazie’ di Junior Cally ottiene, in linea con il plauso del resto della critica, un bel 7), trova spazio un articolo dal titolo ‘Anche il rap può aiutarci a conoscere i nostri figli’, dove un’insegnante delle superiori, Maria Gallelli, commenta il ‘caso’ Junior Cally e si chiede: “Dove eravamo noi adulti mentre i ragazzi ascoltavano canzoni che ora scopriamo essere piene di violenza?”. Finendo per proporre: “Lo show diventi l’occasione per discuterne insieme”.
Per l’insegnante è “questo il punto vero”. “Junior Cally - sottolinea la prof delle superiori - è stato disco di platino nel 2017, ma prima della sua chiamata a Sanremo era per la maggior parte di noi adulti un illustre sconosciuto. Per i ragazzi no. Si è discusso della sua esclusione dal Festival, sono state raccolte le firme per cacciarlo via, le consigliere nazionali di parità hanno scritto una lettera per chiedere alla Commissione di vigilanza della Camera e al presidente della Rai di prendere provvedimenti. Ma dove eravamo noi genitori mentre i ragazzi lo ascoltavano, magari sui nostri stessi telefonini pronti troppo spesso a fare da baby-sitter d’emergenza? Dove noi insegnanti? Senz’altro ci è sfuggito qualcosa. Da qui bisogna ripartire. Dal filtro adulto che è mancato. Dall’ascolto, dal tempo da spendere per capire, per trovare il modo di discutere, di interpretare e spiegare la violenza che esiste dentro e fuori di noi. Forse bisognerebbe imparare a utilizzare anche il rap a noi così lontano, a cominciare proprio dal Festival, per parlare dei disagi sociali, della violenza di genere. Cercando di ricostruire, da educatori, attraverso le cronache e le storie, quella punizione per il misfatto che in queste moderne canzoni tragiche manca del tutto. Perché occorre trovare il modo di attribuire alla giovanile rappresentazione del male una chiave di lettura”, conclude l’insegnante.