Intervista a Leonardo Agueci che rappresentò l'accusa nel processo d'appello
“Prendo atto che un ex alto dirigente di Polizia viene accusato di depistaggio per avere fatto sparire delle prove importanti sull’omicidio di Piersanti Mattarella e questa mi sembra un’ulteriore evidente conferma che non si sia trattato di un semplice omicidio di mafia. Lo dice del resto la stessa Procura, affermando che le indagini sull’omicidio furono ‘gravemente inquinate e compromesse dai appartenenti alle istituzioni che, all'evidente fine di impedire l'identificazione degli autori del delitto, sottrassero dal compendio probatorio un importantissimo reperto, facendone disperdere definitivamente le tracce’”. A parlare con l'AdnKronos è Leonardo Agueci, il magistrato che rappresentò l'accusa nel processo d'appello per l'omicidio dell'ex presidente della Regione, ucciso il 6 gennaio di 45 anni fa in via Libertà a Palermo.
L'allora sostituto procuratore generale di Palermo, nel 1998, aveva impugnato la sentenza di assoluzione della Corte d’Assise di primo grado e quindi, nel processo di appello, aveva chiesto la condanna per il terrorista “nero” Giusva Fioravanti quale esecutore materiale dell’omicidio, riprendendo le tesi di Giovanni Falcone e Gioacchino Natoli.
I giudici della Corte d'assise d'appello di Palermo confermarono però la sentenza di assoluzione, divenuta poi definitiva in Cassazione, sostenendo che Cosa nostra non si sarebbe potuta avvalere della "collaborazione" esterna di killer. “Non v’è dubbio però”, dice l'ex procuratore aggiunto di Palermo, “che oggi si è acquisita una chiara consapevolezza sui contatti avvenuti tra mafia e ambienti eversivi, come in particolare affermato dalla sentenza della Corte d’Assise di Bologna, confermata lo scorso gennaio dalla Corte di Cassazione".
E, tornando a parlare dell’inchiesta che coinvolge l’ex Prefetto Filippo Piritore, finito agli arresti domiciliari con l’accusa di avere depistato le indagini, facendo sparire il guanto del killer ritrovato sulla Fiat 127 dopo l’omicidio, Agueci osserva che, “se vi è stata, da parte di funzionari dello Stato, una attività di occultamento di prove dirette all’identificazione del killer, è difficile pensare che ciò sia stato fatto per favorire uomini della mafia, ma piuttosto per coprire personaggi appartenenti ad altri ambienti, apparentemente estranei – all’epoca – alle strategie mafiose. E difatti le indagini, inizialmente concentrate verso esponenti di mafia, solo in un secondo tempo, e precisamente dopo le dichiarazioni rese nel 1982 da Cristiano Fioravanti, fratello di Giusva, si rivolsero in direzione dello stesso Giusva Fioravanti e del terrorismo “nero”, ricevendo peraltro una fondamentale conferma dal riconoscimento da parte di Irma Chiazzese, vedova dell’allora presidente della Regione siciliana, che in quella mattina del 6 gennaio 1980 disse di avere visto in faccia il killer del marito”.
"Nonostante ciò la Corte d’Assise di Palermo – che ha condannato i boss mafiosi Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nené Geraci quali mandanti dell’omicidio – ha ritenuto invece di assolvere Fioravanti e Cavallini, dall’accusa di avere materialmente eseguito l’omicidio, accogliendo la analoga richiesta del Pubblico Ministero di Primo Grado. È una sentenza che non mi ha mai convinto - dice ancora Agueci – tanto è vero che ne ho chiesto la riforma in appello e, nel successivo giudizio, ho chiesto la condanna di Fioravanti quale autore materiale dell’omicidio, cosa della quale sono ancora oggi convinto".