
Indagine Censis commissionata da Philip Morris Italia
Il 54% degli occupati chiede una retribuzione più competitiva. Se lo stipendio resta ''il nodo centrale'', i lavoratori non guardano solo al portafoglio: 4 su 10 vorrebbero più benessere e condizioni di lavoro migliori, il 32,0% benefit aziendali e oltre un quarto (il 26,9%) maggiore flessibilità oraria e smartworking. È quanto emerge dall’indagine 'Engagement e produttività. Più produttività attraverso la leva della motivazione e del coinvolgimento sul posto di lavoro', realizzata dal Censis e commissionata da Philip Morris Italia, su un campione rappresentativo di occupati dipendenti.
L’età incide sulla motivazione: senior più motivati, giovani meno. Il 79,3% degli occupati si sente molto o abbastanza motivato. Tra di essi i più coinvolti sono gli over 55 che, cresciuti con l’idea del lavoro come valore identitario, dichiarano di essere molto motivati (37,5%). Tuttavia, tra i 18 e i 44 anni la motivazione cala: in questa fascia d’età solo il 24,3% dichiara molto interesse verso la propria occupazione. Tra i fattori che possono portare una persona a perdere interesse per il proprio percorso professionale vi è il disallineamento tra le competenze possedute e le richieste del lavoro. Solo il 27,2% percepisce competenze pienamente allineate al ruolo che ricopre, mentre il 13,7% segnala forte disallineamento. Anche questo fattore pesa di più sui 18-34enni (16,8%) rispetto agli over 55 (6,3%).
Quasi la metà degli intervistati (47,8%) afferma che il lavoro ha perso centralità o non è mai stato una priorità. A trainare questa visione sono i 18-44enni (il 54,1%), mentre il 66,3% dei senior resta ancorato al modello tradizionale. Emerge con forza la sensazione di disincanto, che mette sempre più in discussione il concetto tradizionale di lavoro come fulcro della vita sociale e personale.
Dallo studio del Censis emerge che è quasi la metà dei lavoratori dipendenti a sentirsi regolarmente o sporadicamente distaccato o poco coinvolto durante le proprie attività lavorative, ma ancora più critico è il dato sui giovani, poiché più della metà (53,9%) avverte questo problema. A distanza di quasi 20 punti percentuali si pone invece la fascia degli over cinquantacinquenni (34,4%), dimostrando un maggiore coinvolgimento e stabilità emotiva nel rapporto con il lavoro.
Il disengagement si traduce in un dato eloquente: il 44,3% dei dipendenti ha considerato di cambiare occupazione. La percentuale tocca il 64,6% tra i più giovani. Tra i motivi che spingono a considerare la possibilità di un cambio di lavoro i principali sono: aumento del reddito (39,5%); stress o carico di lavoro eccessivo (28,7%); maggiore soddisfazione professionale (21,5%). La disaffezione al lavoro implica quindi una serie di sfide per l’azienda, che può veder calare produttività e qualità delle prestazioni, contemporaneamente ad un aumento del turnover. Un lavoratore su tre (33,3%) crede che il disimpegno abbia un impatto significativo sui risultati dell’azienda in cui lavora, riducendo la produttività in modo evidente, convinzione particolarmente diffusa negli over 55 (45,2%), distanti di quasi 20 punti percentuali dai più giovani (25,4%).
''I numeri parlano chiaro: solo il 10% dei lavoratori italiani si dichiara davvero coinvolto nel proprio lavoro e quasi la metà sperimenta una distanza emotiva dalla propria attività'' ha dichiarato Pasquale Frega, presidente e amministratore delegato di Philip Morris Italia. ''Questo significa che per molti il lavoro non è fonte di motivazione. È una sfida che, come imprese, non possiamo ignorare. Per questo Philip Morris Italia ha scelto di mettere le persone al centro, investendo nella formazione continua, garantendo parità salariale, supportando la genitorialità e favorendo un equilibrio concreto tra vita privata e professionale. Il nostro impegno è costruire un ambiente di lavoro dove ciascuno possa sentirsi valorizzato. E ci impegniamo a portare questi valori e opportunità di crescita alle realtà con cui collaboriamo lungo la nostra filiera integrata''.