
Negli ultimi tre anni "il settore bancario italiano ha corso come pochi altri comparti in Europa, forse solo la difesa ha saputo fare di meglio", dice all'Adnkronos Gabriel Debach, market analyst di eToro
Agosto 2022, le prime cinque aziende per capitalizzazione nel Ftse Mib erano Enel (48 miliardi), Stellantis (42,2 miliardi), Eni (42,1 miliardi), Ferrari (37,6 miliardi) e Intesa Sanpaolo (34 miliardi). "Oggi la classifica è capovolta", dicono diversi analisti contattati dall'Adnkronos: "Intesa e Unicredit dominano il listino, con circa 87 miliardi di market cap ciascuna, praticamente raddoppiando il loro valore e arrivando a pesare insieme oltre il 30% del paniere generale". Negli ultimi tre anni "il settore bancario italiano ha corso come pochi altri comparti in Europa, forse solo la difesa ha saputo fare di meglio", dice all'Adnkronos Gabriel Debach, market analyst di eToro.
Un dato che non racconta solo performance, ma centralità sistemica. A spingere la corsa, secondo l'analista, sono stati tre fattori: la normalizzazione dei tassi, che ha ridato ossigeno ai margini d’interesse dopo un decennio anemico; un pass-through sui depositi più lento rispetto al resto d’Europa, che ha protetto la redditività; e un risiko bancario che ha alimentato la narrativa del consolidamento.
"Nel 2025 il settore ha iniziato la sua fase di maturità: i tassi si normalizzano, i margini d’interesse calano ma restano robusti, mentre le commissioni e i servizi assicurativi diventano il nuovo motore di crescita", sottolinea Debach che fa l'esempio UniCredit. "Nel terzo trimestre - dice - ha riportato ricavi per 6,1 miliardi (+1,2% su base annua) e un utile netto in aumento del 4,7%, con un RoTE medio al 22% e un costo del rischio contenuto a 10 punti base. Nonostante il NII in lieve calo (-4,2% a/a), la banca ha mantenuto una redditività tra le più alte d’Europa e una efficienza operativa record (cost/income al 37%), segno che la leva della redditività non è più solo ciclica, ma anche strutturale".
C’è però un altro segnale da leggere, sempre stando all'analisi di Debach: la comunicazione stessa del settore. "Nelle trimestrali di Unicredit -esamina l'analista - la parola “record” è comparsa tre volte nell’ultima, cinque nella precedente, una all’inizio dell’anno. Un linguaggio sempre più enfatico - con una media storica di circa 3,4 menzioni per trimestre nei 14 periodi precedenti (per un totale di 47 occorrenze dal Q1 2022 – ma che forse ora riflette, non tanto la crescita reale, quanto il bisogno di mantenere il momentum narrativo dopo due anni straordinari". Il tutto in un contesto più fragile: tornano i timori di nuovi prelievi dello Stato, oggi nuovamente in discussione, mentre le vicende di Mps, Mediolanum e Popolare di Sondrio continuano a influenzare la percezione del settore e il dibattito sul consolidamento bancario. (di Andrea Persili)