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Intestare casa alla moglie con separazione consensuale, ecco i rischi

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10 settembre 2019 | 16.46
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Non è raro che, nell’ambito degli accordi di separazione consensuale, il marito accetti di intestare la casa all’ex moglie in cambio della rinuncia, da parte di questa, all’assegno di mantenimento di lì a venire. In pratica, la donna si accontenta della proprietà immobiliare che potrà vendere o affittare in modo da ottenerne una rendita vitalizia.

Tuttavia, una recente sentenza della Cassazione pone a serio rischio la validità di tali accordi: con la conseguenza che la moglie ben potrebbe, all’atto del divorzio, far dietro front e chiedere anche l’assegno divorzile in aggiunta a ciò che ha già ottenuto in sede di separazione. Possibile? Assolutamente sì, secondo la testata specializzata La Legge per Tutti, che in un articolo sul sito www.laleggepertutti.it fa il punto della situazione esaminando quali sono i rischi di intestare la casa alla moglie con la separazione consensuale.

Come noto, quando marito e moglie si dicono addio, devono percorrere due stadi: il primo è quello della separazione, il secondo è il divorzio vero e proprio. Tra il primo e il secondo step non possono decorrere meno di sei mesi se la separazione è consensuale; bisogna, invece, attendere un anno se la separazione viene pronunciata dal giudice al termine di una regolare causa.

La separazione consensuale può essere effettuata davanti al sindaco del Comune di residenza se, oltre all’assegno di mantenimento, non c’è da dare esecuzione ad accordi di trasferimento di beni tra coniugi. Quando i due, invece, necessitano di eseguire delle cessioni immobiliari (ad esempio il passaggio di proprietà della casa all’ex moglie o al figlio) è sempre necessario il ricorso alla negoziazione assistita degli avvocati o al tradizionale tribunale.

Il trasferimento immobiliare, rileva LLPT, è un’abituale pratica che si usa adottare come alternativa all’assegno di mantenimento. Le possibilità che si possono configurare dipendono generalmente dal regime patrimoniale adottato dai coniugi. Così, se la coppia è in comunione dei beni, spesso il marito cede il proprio 50% all’ex moglie o viceversa. Il controvalore può essere oggetto di vendita (ad esempio l’uomo corrisponde alla donna la metà del prezzo della casa divenendone così proprietario esclusivo) o di donazione (ad esempio l’uomo dona alla donna la propria metà della casa in cambio della rinuncia o riduzione all’assegno di mantenimento). In alternativa, la coppia può procedere alla vendita a terzi del bene, dividendo poi il ricavato.

Quando la coppia è, invece, analizza La Legge per Tutti, in separazione dei beni, l’immobile di proprietà di uno solo dei due coniugi può divenire “oggetto di scambio” negli accordi di separazione consensuale. Si pensi, ad esempio, al marito benestante che decida di intestare la casa al figlio, con usufrutto alla moglie, a condizione che questa rinunci all’assegno divorzile. La donna potrà mettere a reddito l’immobile, ad esempio dandolo in affitto, ricavandone così una rendita.

L’intestazione della casa del marito all’ex moglie ha inizialmente posto un problema di carattere fiscale qualora la cessione avvenga prima di cinque anni dall’acquisto. In particolare, ci si è chiesto se tale atto possa comportare una decadenza dalle agevolazioni fiscali sulla prima casa (che, come noto, vietano di alienare l’immobile prima del quinquennio).

La Cassazione ha, tuttavia, sposato un orientamento favorevole al contribuente stabilendo che accordi di questo tipo non possono essere qualificati come “cessioni” in senso stretto, ma rientrano nei piani di gestione del patrimonio familiare, non implicando, quindi, la perdita del bonus prima casa. Anche l’Agenzia delle Entrate si è adeguata all’indirizzo della giurisprudenza e, con una risoluzione, ha ritenuto condivisibile la tesi della Suprema Corte. Leggi Agenzia delle Entrate: agevolazioni prima casa per separati.

Il secondo problema riguarda la natura dell’atto di donazione della casa all’ex moglie. Dottrina e giurisprudenza ritengono che la cessione dell’immobile vada inquadrata come una forma di prestazione unica: si tratterebbe, quindi, del cosiddetto assegno una tantum previsto dalla legge. La normativa consente di sostituire l’assegno divorzile mensile con un’unica prestazione, in denaro o in natura, che costituisca una sorta di rendita vitalizia. In questo modo, il coniuge con il reddito più elevato si libera, una volta per tutte, dall’obbligo del pagamento periodico dell’assegno.

La sentenza della Cassazione che abbiamo citato in apertura, però, pone un serio ostacolo all’intestazione della casa all’ex moglie in sede di separazione. Secondo i giudici, infatti, la previsione dell’assegno una tantum può avvenire solo al momento del divorzio e non già alla separazione. Ogni accordo stretto prima del divorzio è, infatti, nullo e ritrattabile. In buona sostanza, ben potrebbe la moglie, che abbia già ottenuto alla separazione l’intestazione della casa coniugale, richiedere all’atto del divorzio anche l’assegno divorzile in barba ai precedenti accordi stretti col marito. Il quale non potrebbe opporsi all’ulteriore richiesta, né potrebbe ormai farsi restituire l’immobile. Avevamo approfondito tale sentenza nell’articolo Assegno una tantum separazione consensuale a cui rinviamo per ulteriori esempi pratici derivanti dall’applicazione di questo principio.

Risultato: se il marito intende intestare la casa all’ex moglie o al figlio come condizione per una rinuncia o una riduzione al mantenimento in capo all’una o all’altro deve attendere il momento del divorzio (sei mesi o un anno dalla separazione) - rileva La Legge per Tutti - Anticipare un atto del genere alla separazione implica il rischio di un ripensamento da parte dell’ex.

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