Circa 7.000 anni fa il fuoco divenne rito dell'aldilà

Scoperto l'antico legame tra l'uomo e le fiamme nel Neolitico italiano

Circa 7.000 anni fa il fuoco divenne rito dell'aldilà
23 ottobre 2025 | 10.54
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Da quando l'uomo ha scoperto e imparato a controllare il fuoco, lo ha utilizzato per difendersi, cucinare, riscaldarsi, forgiare metalli e socializzare. Oltre a questi usi quotidiani, questo elemento ha avuto anche un significato simbolico e rituale, legato al passaggio nell'aldilà. La ricerca dell'Università di Trento, pubblicata su "Archaeological and Anthropological Sciences", mostra che già nel Neolitico Antico il fuoco veniva impiegato come strumento di trasformazione dei resti umani, anticipando le pratiche di cremazione note in epoche successive.

Il primo autore è Omar Larentis, assegnista di ricerca del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, sostenuto nel suo lavoro anche da Fondazione Caritro. La coordinatrice scientifica è Annaluisa Pedrotti, docente di Preistoria e Protostoria nello stesso Dipartimento e responsabile del Laboratorio Bagolini di Archeologia, Archeometria e Fotografia del Dipartimento di Lettere e Filosofia di UniTrento.

Rispetto agli studi precedenti, il principale elemento di novità risiede nell’approccio adottato dal team di ricerca, caratterizzato da una prospettiva internazionale e multidisciplinare. Lo spiega Larentis: «Chi ci ha preceduto, nel valutare la presenza di ossa umane bruciate, tendeva a interpretarle come evidenze di cremazione, di veri e propri rituali crematori. In realtà, questa definizione non è del tutto corretta. A nostro avviso, la cremazione può essere definita tale solo quando si tratta di un rituale pianificato, condiviso e codificato all’interno di una comunità, il cui obiettivo è la combustione dei tessuti molli del corpo attraverso l’uso del fuoco».

Riti che l’antropologo e il gruppo di ricerca hanno ricostruito attraverso un’analisi accurata: «Abbiamo spostato lo sguardo indietro di qualche millennio rispetto all’epoca in cui si può effettivamente parlare di cremazione, interpretando le tracce osservate non come testimonianza di un vero e proprio rito crematorio, ma come espressione dell’utilizzo del fuoco quale elemento di trasformazione dei resti umani».

Si tratta di aspetti che richiedono ancora ulteriori approfondimenti, poiché variano da sito a sito. L’approccio adottato ha tuttavia permesso di elaborare, per la prima volta, una mappa cronologica della distribuzione di queste evidenze durante il Neolitico antico italiano, contribuendo a delineare con maggiore chiarezza il fenomeno.

La ricerca si è concentrata inizialmente sul sito archeologico di Lugo di Grezzana (Verona) e successivamente si è estesa ad altre aree. «Questa pratica – illustrano Larentis e Pedrotti – ha origine in Puglia nel VI millennio a.C., per poi diffondersi nell’Italia centrale e arrivare, durante il Neolitico antico dell’Italia settentrionale, nella pianura padana».

Per giungere a queste conclusioni, i ricercatori e le ricercatrici hanno condotto analisi macro- e microscopiche su oltre seimila frammenti ossei, distinguendo tra resti umani e animali. Le indagini sono state realizzate grazie all’impiego di strumentazioni avanzate, tra cui microscopi ottici ed elettronici del Laboratorio Bagolini di Archeologia, Archeometria e Fotografia dell’ateneo di Trento, e apparecchiature per la preparazione di sezioni sottili ossee, utilizzate in collaborazione con il Centro di Ricerca in Osteoarcheologia e Paleopatologia dell’Università dell’Insubria, diretto da Ilaria Gorini, docente di Storia della Medicina.

La datazione al radiocarbonio è stata eseguita in Belgio da Giacomo Capuzzo, mentre le valutazioni macroscopiche sui materiali non umani sono state condotte da Angela Maccarinelli dell’Università di Sheffield e da Stefano Marconi del Museo Civico di Rovereto, entrambi archeozoologi.

Questo approccio integrato ha permesso di identificare e classificare i reperti, di descriverne le caratteristiche microstrutturali e di ottenere datazioni radiocarboniche precise dei resti umani analizzati.

«Quello che noi abbiamo evidenziato – conclude Larentis – è l'inizio di quel sentire che porta a essere il fuoco uno degli elementi che viene utilizzato nella nostra penisola quale trasformatore dei resti umani attraverso una ritualità che diviene a mano a mano sempre più ricca, più variegata, più complessa. Un rituale che, con altre forme e variabili, ancora oggi perdura».

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