Ghost of Yotei, intervista con il co-director del nuovo kolossal su PS5

Alla scoperta della visione di Sucker Punch per il seguito di Ghost of Tsushima: tra libertà narrativa, autenticità culturale e nuove modalità, Nate Fox ci racconta Ghost of Yōtei

Ghost of Yotei, intervista con il co-director del nuovo kolossal su PS5
02 ottobre 2025 | 15.44
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Alla vigilia dell’uscita ufficiale di Ghost of Yōtei, fissata per il 2 ottobre in esclusiva su PlayStation 5, abbiamo avuto l’occasione di incontrare Nate Fox, co-director del gioco insieme con Jason Connell e figura chiave di Sucker Punch Productions. Lo studio americano, già autore dell’acclamato Ghost of Tsushima, torna con un nuovo capitolo ambientato nel Giappone feudale, promettendo di alzare ulteriormente l’asticella dell’esperienza open world.

Ghost of Yōtei riprende la maestria narrativa e la cura per il dettaglio storico che hanno reso celebre il precedente capitolo, arricchendole con una struttura ancora più libera, nuove modalità cooperative e una forte componente emotiva. Con Nate Fox abbiamo parlato della costruzione della storia non lineare, della modalità Legends, dell’approccio culturale e delle scelte stilistiche che caratterizzano questo attesissimo titolo.

Una delle prime cose che colpisce in Ghost of Yōtei è la sua struttura non lineare. I giocatori possono affrontare i “Sei di Yōtei” nell’ordine che preferiscono. Come siete riusciti a bilanciare questa libertà con il ritmo narrativo, evitando che la storia risultasse frammentata?

La storia di Ghost of Yōtei ha una forma “a diamante”: parte con un inizio molto forte e definito, poi si apre lasciando ai giocatori la libertà di scegliere l’ordine con cui affrontare i Sei. Infine, tutto converge di nuovo verso un climax emotivamente molto intenso. Essendo un gioco open world, la vera magia sta negli spazi tra le missioni principali: quei momenti in cui decidi cosa fare, incontri un personaggio casualmente su un ponte, ascolti la sua storia, scopri dettagli sul passato di Ezo o sulla vita delle persone sotto il dominio del clan Maishimura. Nulla in questo mondo è casuale: ogni elemento contribuisce alla trasformazione della protagonista e alla ricchezza dell’esperienza complessiva.

In Ghost of Tsushima i giocatori potevano rigiocare le missioni grazie alla modalità New Game Plus. Come mai non avete previsto qualcosa di simile in Ghost of Yōtei?

In questo momento non è possibile rigiocare le missioni della campagna principale. Tuttavia, stiamo lavorando intensamente alla modalità Legends, dove sarà possibile affrontare missioni più volte insieme agli amici. Si tratta di una componente cooperativa che introduce nuove storie e sfide, permettendo ai giocatori di espandere la loro esperienza anche dopo aver completato la storia principale.

A proposito della modalità Legends, che arriverà nel 2026, può raccontarci qualcosa di più?

La campagna single player è molto radicata nella realtà storica e si concentra sul viaggio intimo di trasformazione della protagonista. Legends, invece, ci permette di liberarci un po’ dai vincoli realistici: è una modalità soprannaturale in cui si combattono demoni, si usano armi mistiche e si affrontano nemici colossali. È un modo per dare ai giocatori maggiore varietà e offrire nuove esperienze di gioco in un contesto cooperativo.

Come vede oggi il ruolo dei giochi single player open world, in un’industria sempre più orientata al multiplayer e ai servizi live?

In Sucker Punch crediamo profondamente nei giochi single player. Ci permettono di raccontare storie forti, emozionanti e coese. Quando giochi da solo, hai il “silenzio” necessario per ascoltare la musica, per respirare, per decidere liberamente dove andare. Questo spazio di contemplazione è qualcosa di unico e prezioso negli open world: sono quei momenti in cui vaghi senza una missione precisa che rendono davvero speciale l’esperienza.

In Ghost of Tsushima l’indicatore del vento era un elemento iconico. In Ghost of Yōtei avete seguito un approccio simile per guidare il giocatore senza sommergerlo di interfacce?

Esatto. Non volevamo che i giocatori passassero il tempo a guardare una mappa piena di icone o una bussola. Siamo esseri umani, abbiamo occhi, orecchie e curiosità naturale. Quindi abbiamo inserito elementi nel mondo di gioco che stimolano l’esplorazione: magari vedi un fuoco da campo, ti avvicini, parli con qualcuno che ti dà un indizio su un santuario lì vicino. Oppure noti un albero rosso in mezzo a un bosco verde e decidi di esplorarlo. Il vento è sempre presente e ti indica la direzione dell’obiettivo, ma sei libero di ignorarlo. Questo dà una sensazione di libertà autentica, più organica rispetto ai sistemi tradizionali. Vogliamo incuriosire il giocatore, non sovraccaricarlo.

La rappresentazione culturale è sempre stata un tema importante nei vostri giochi. Come avete affrontato la questione dell’autenticità in Ghost of Yōtei?

È un aspetto che abbiamo preso estremamente sul serio. Noi di Sucker Punch siamo americani, ma amiamo profondamente le storie giapponesi. Per questo ci siamo circondati di consulenti culturali, collaborando strettamente con esperti e con i nostri colleghi PlayStation a Tokyo, che ci hanno fornito feedback preziosi su costumi, architettura, scrittura. Il nostro obiettivo era offrire un’esperienza che risultasse autentica anche per i giocatori giapponesi. Ovviamente il gioco è ambientato in un mondo immaginario e racconta una storia di fantasia, quindi a volte ci sono scelte che non sono storicamente perfette, ma che servono la “fantasia” del racconto, come nel caso delle katana in Ghost of Tsushima, usate pur non essendo storicamente accurate per quell’epoca. Quando Ghost of Tsushima uscì e ricevette il punteggio massimo dal magazine Famitsu, fu un momento incredibilmente importante per noi. Era la conferma che avevamo trattato quella cultura con il rispetto che meritava.

Nel primo Ghost avevate inserito una modalità “Kurosawa” per omaggiare il cinema giapponese, e avete arricchito questa possibilità in Yōtei. Con quali criteri avete scelto i registi e le opere da omaggiare?

Sì, il cinema continua a ispirarci profondamente. Nel primo gioco abbiamo reso omaggio a Kurosawa, e questa volta avremo modalità visive dedicate: una riprende lo stile in bianco e nero con grana filmica, un’altra è ispirata a un film molto crudo e realistico di Takeshi Miike, 13 Assassini, che avvicina la telecamera, intensifica il sangue e il fango, e rende i combattimenti più fisici e diretti. C’è anche una modalità che rende omaggio a una serie anime amatissima di Shin'ichirō Watanabe, che ha introdotto molti spettatori occidentali al mondo dei samurai: Samurai Champloo. Molti membri del team ne sono fan, e abbiamo pensato fosse un bel modo per permettere ai giocatori di esplorare l’esperienza da un’altra prospettiva stilistica.

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