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Lavoro: 305mila smart worker (+14%), 13,7 mld euro benefici per paese

11 ottobre 2017 | 14.08
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Lavoro: 305mila smart worker (+14%), 13,7 mld euro benefici per paese

È stata approvata la legge sul 'lavoro agile', cresce il dibattito sul tema, continuano le sperimentazioni tra le imprese: nel 2017, lo smart working in Italia ormai rappresenta una realtà. Aumenta del 14% rispetto al 2016 (e del 60% rispetto al 2013) il numero dei lavoratori che godono di autonomia nella scelta delle modalità di lavoro in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati: gli smart worker sono ormai 305.000 - l’8% del totale dei lavoratori (considerando i dipendenti impiegati, quadri e dirigenti occupati in aziende pubbliche o private con più di 10 addetti) - e si distinguono per maggiore soddisfazione per il proprio lavoro e maggiore padronanza di competenze digitali rispetto agli altri lavoratori. Sono alcuni dei risultati della ricerca dell'Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, presentata oggi al Campus Bovisa al convegno 'Smart working: sotto la punta dell'iceberg'.

Lo smart working è una realtà, ma quel che si vede è solo la punta dell'iceberg: sono ancora pochi i progetti di sistema che ripensano i modelli di organizzazione del lavoro e estendono a tutti i lavoratori flessibilità, autonomia e responsabilizzazione. Eppure, i benefici economico-sociali potenziali sono enormi: l'adozione di un modello 'maturo' di smart working per le imprese può produrre un incremento di produttività pari a circa il 15% per lavoratore, che a livello di sistema Paese significano 13,7 miliardi di euro di benefici complessivi.

Per i lavoratori, anche una sola giornata a settimana di 'remote working' può far risparmiare in media 40 ore all'anno di spostamenti; per l'ambiente, invece, determina una riduzione di emissioni pari a 135 kg di CO2 all’anno.

Cresce l'adozione dello smart working in particolare tra le grandi imprese: il 36% ha già lanciato progetti strutturati (il 30% nel 2016), ben una su due ha avviato o sta per avviare un progetto, ma le iniziative che hanno portato veramente a un ripensamento complessivo dell’organizzazione del lavoro sono ancora limitate e riguardano circa il 9% delle grandi aziende. Anche tra le pmi cresce l’interesse, sebbene a prevalere siano approcci informali: il 22% ha progetti di smart working, ma di queste solo il 7% lo ha fatto con iniziative strutturate; un altro 7% di pmi non conosce il fenomeno e ben il 40% si dichiara 'non interessato', in particolare per la limitata applicabilità nella propria realtà aziendale.

Nella pubblica amministrazione solo il 5% degli enti ha attivi progetti strutturati e un altro 4% pratica lo smart working informalmente, ma a fronte di una limita applicazione c’è un notevole fermento, con il 48% che ritiene l’approccio interessante, un ulteriore 8% che ha già pianificato iniziative per il prossimo anno e solo il 12% che si dichiara non interessato.

“Sotto la superficie dello smart working così come oggi lo conosciamo c’è una grande opportunità di contribuire a ripensare il lavoro del futuro per rendere imprese e pubbliche amministrazioni più produttive e intelligenti, lavoratori più motivati e capaci di sviluppare talento e passioni, una società più giusta, sostenibile e inclusiva", afferma Mariano Corso, responsabile scientifico dell'Osservatorio Smart Working. "I benefici dello smart working per imprese, lavoratori e società sono troppo importanti per potersi permettere di non sviluppare immediatamente un piano di interventi volto ad accompagnare e incentivare un fenomeno in grado di dare nuovo slancio al sistema Paese”, avverte.

"C'è ancora molto da fare - dice Fiorella Crespi, direttore dell'Osservatorio Smart Working - per rendere lo smart working un’occasione di cambiamento profondo della cultura organizzativa. Occorre pensare a modalità di lavoro innovative anche per la maggioranza dei lavoratori esclusi, soprattutto nelle pmi e nelle pubbliche amministrazioni, dove, nonostante gli apprezzabili sforzi a livello normativo, la diffusione dello smart working è tutt’altro che incoraggiante. Le azioni di sistema portano a sperare a un cambio di passo per il prossimo anno, in cui lo smart working possa rivelarsi un’occasione di rilancio per tanti lavoratori".

Nel complesso, dunque, si stimano 305.000 smart worker nel nostro Paese: lavoratori dipendenti che possono flessibilmente scegliere le proprie modalità di lavoro, in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati. Il fenomeno tocca per ora principalmente il settore privato e in particolare la grande impresa, ma non è estraneo ai lavoratori della pubblica amministrazione che rappresentano il 17% dei lavoratori agili complessivi, una quota destinata a crescere grazie alla direttiva della riforma Madia della Pa, che punta a coinvolgere almeno il 10% dei dipendenti di ciascuna organizzazione pubblica entro tre anni in progetti di smart working o di flessibilità nell’organizzazione del lavoro.

Il 31% degli smart worker dichiara di lavorare in un’organizzazione che ha progetti strutturati di smart working; la restante parte in contesti in cui non è formalizzato oppure gode di forme di flessibilità legate al proprio ruolo. Rispetto agli altri lavoratori, gli smart worker sono caratterizzati da un’elevata mobilità nei luoghi di lavoro: trascorrono mediamente solo il 67% del tempo lavorativo in azienda, contro l’86% degli altri.

Inoltre, sono sempre meno legati a una singola postazione: diminuisce rispetto all’anno passato il tempo dedicato al lavoro fisso alla propria postazione (39%) a favore di quello svolto da altre postazioni all’interno delle sedi di lavoro (15%) o in altre sedi della propria azienda (13%), per la restante parte del tempo gli smart worker lavorano in luoghi esterni alla propria azienda (presso clienti o fornitori, a casa o in spazi di coworking). Rispetto alla media dei lavoratori, gli smart worker sono più soddisfatti del proprio lavoro: soltanto l’1% degli smart worker si ritiene insoddisfatto nel complesso (contro il 17% degli altri lavoratori), il 50% è̀ pienamente soddisfatto delle modalità di organizzare il proprio lavoro (22% per gli altri), il 34% ha un buon rapporto con i colleghi e con il capo (16% per gli altri).

Inoltre, gli smart worker ritengono di avere una più adeguata padronanza di competenze soft relazionali e comportamentali legate al digitale (digital soft skills), che consentono alle persone di utilizzare efficacemente i nuovi strumenti digitali per migliorare produttività e qualità delle attività lavorative. In particolare, gli smart worker hanno una superiore capacità di collaborare efficacemente in team virtuali esercitando una leadership: solo l’1% ritiene di non avere sviluppato in maniera soddisfacente questo tipo di skill, a fronte del 27% degli altri lavoratori.

Miglioramento della produttività, riduzione dell’assenteismo e abbattimento dei costi per gli spazi fisici sono i principali benefici ottenibili dall’introduzione dello smart working nelle aziende. L’Osservatorio stima l’incremento di produttività per un lavoratore derivante dall’adozione di un modello 'maturo' di smart working nell’ordine del 15%. Proiettando l’impatto a livello complessivo di sistema Paese, considerando che sulla base della tipologia di attività che svolgono i lavoratori che potrebbero fare smart working sono almeno 5 milioni e che attualmente gli smart worker sono 305.000, l’effetto dell’incremento della produttività media del lavoro in Italia, ipotizzando che la pervasività dello smart working possa arrivare al 70% dei lavoratori, si può stimare intorno ai 13,7 miliardi di euro.

I vantaggi per i lavoratori si misurano anche in termini di riduzione dei tempi e costi di trasferimento, miglioramento del work-life balance e aumento della motivazione e della soddisfazione. Si può stimare, ad esempio, che il tempo medio risparmiato da uno smart worker per ogni giornata di lavoro da remoto sia di circa 60 minuti; considerando che ciascuno faccia anche solo una giornata a settimana di remote working il tempo risparmiato in un anno è dell’ordine di 40 ore per smart worker.

La disponibilità di tecnologie digitali è una condizione necessaria per permettere alle persone di svolgere il proprio lavoro anche da remoto. Nelle grandi organizzazioni, a prescindere dalla presenza di un progetto di smart working, le tecnologie che supportano il lavoro da remoto sono già diffuse, in modo particolare le soluzioni a supporto della sicurezza e dell’accessibilità dei dati da remoto e da diversi device (95%) e device mobili e mobile business app (82%). Molto spesso sono presenti servizi di social collaboration integrati a supporto della collaborazione e della condivisione della conoscenza (61%), mentre meno diffuse sono le workspace technology che permettono un utilizzo più flessibile degli ambienti, agevolando il lavoro in mobilità all’interno delle sedi aziendali (36%).

"Resta inadeguata invece la capacità di utilizzo delle tecnologie tra i lavoratori: per questa ragione, oltre che sull'introduzione degli strumenti digitali, è fondamentale agire sullo sviluppo di digital skills, comprese quelle di natura soft e non legate ai singoli strumenti", sottolinea Fiorella Crespi. "I Cio e gli It executive evidenziano come la competenza prioritaria da sviluppare sia la capacità di ripensare prodotti, processi e attività lavorative utilizzando nuovi strumenti e canali digitali, insieme alla capacità di collaborare in team virtuali, esercitando una leadership adeguata al contesto digitale", conclude.

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