"L’obiettivo è capire cosa si possa nascondere nell’antica e storica galleria che trovammo interrata trent’anni fa", afferma il magistrato ora in pensione. Lupacchini: "Se si torna a scavare qualche elemento c'è"
Gli scavi alla Casa del Jazz di Roma "non sono un'attività solo sul giudice Paolo Adinolfi. L’obiettivo è capire cosa si possa nascondere nell’antica e storica galleria che trovammo interrata trent’anni fa". Così l’ex giudice Guglielmo Muntoni, ora presidente dell’Osservatorio sulle politiche per il contrasto alla criminalità economica della Camera di Commercio, dal quale è partita la richiesta che ha portato alle attività di scavo iniziate questa mattina nella Casa del Jazz di Roma.
"L’idea - aggiunge il magistrato ora in pensione - è che sia stata interrata per nascondere qualcosa, ma c’è anche una botola di acceso che permetteva un recupero. Lì potevano esserci cose che si potevano poi recuperare. La prima ipotesi è stata quella di armi, esplosivi e preziosi o documenti. Poi come ipotesi astratta potremmo trovare dei corpi e uno dei corpi ipotizzati è quello del giudice Paolo Adinolfi”.
Muntoni precisa che “è una iniziativa che sollecito da 29 anni, l’avevo già segnalata in passato alla procura di Perugia proprio con l’ipotesi del giudice scomparso. All’epoca trovammo la galleria interrata e il costo per gli scavi era notevole, ma ora abbiamo i fondi. Adesso si è offerta la Confcooperative con la Camera di Commercio in base ad una ipotesi del tutto diversa”.
“Ventinove anni fa ci fu un primo accesso e ci si è accorti di questa galleria interrata ma non a causa di una frana ma del terreno portato lì per chiudere l’ingresso. La mia idea è che la botola di accesso servisse ai componenti della Banda della Magliana per tornarci passata la tempesta degli arresti e dei sequestri. Quella di Adinolfi è una ipotesi astratta mentre più concreta quella di armi ed esplosivi e quindi la competenza è della Prefettura. Se poi dovessero emergere elementi di interesse investigativo scatterebbe la competenza di Perugia nel caso Adinolfi, di Roma negli altri casi”, conclude.
"Se oggi si ritorna sulla decisione di allora di non procedere allo scavo, e si ritiene di dover scavare, evidentemente c'è qualche altro elemento che possa rafforzare con il quadro che dava luogo a suggestione e a sospetti"., dice dal canto suo a Rds Otello Lupacchini, magistrato protagonista nella lotta alla Banda della Magliana.
Lupacchini premette: "Non so quali nuovi indizi siano emersi per poter riprendere un'attività che a suo tempo era stata iniziata dalla Procura di Perugia e alla quale tuttavia non era stato dato seguito. Posso solo riferire quel che ricordo dell'epoca: Adinolfi era stato un giudice delegato di un fallimento particolarmente importante, quello dell'Ambra Assicurazioni, società attorno alla quale si erano appuntati gli interessi anche di associazioni criminali di vario tipo. Da quell'asse fallimentare - spiega Lupacchini - sparirono 4 miliardi e si ritenne fossero stati sottratti dall'amministratore incaricato dal tribunale fallimentare; i soldi poi finirono nelle capienti tasche di Enrico Nicoletti, ritenuto il cassiere della Banda della Magliana, attraverso assegni circolari del Banco di Sicilia e furono riutilizzati, reinvestiti nella prima delle multiproprietà del NordEst".
L'ispezione, come detto, non è una novità: "Fu eseguita alla fine degli anni '90 da parte della procura della Repubblica di Perugia per verificare che non ci fossero presenze di resti umani, nella gran massa di materiale che aveva riempito la galleria (lunga circa 500 metri arrivando fino ai campi sportivi della Banca Nazionale del Lavoro)", spiega Lupacchini, che ricorda "la coincidenza temporale con la sparizione delle giudice Adinolfi, il giorno prima di che si recasse a Milano per rendere testimonianza su alcuni evenienze relative a quel fallimento". Questo, sottolinea, fece ipotizzare "potesse esserci una qualche connessione tra la sparizione del magistrato e il riempimento della galleria".