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'Il buon lavoro' di Cuzzilla e Perrone, un'utopia che deve diventare realtà

Qualche idea sul libro firmato dal presidente di Federmanager e dalla giornalista del Sole 24 Ore

'Il buon lavoro' di Cuzzilla e Perrone, un'utopia che deve diventare realtà
29 gennaio 2024 | 19.50
LETTURA: 3 minuti

Il modo migliore per parlare di un libro già ampiamente recensito è non farne una recensione. 'Il buon lavoro', il saggio firmato dal presidente di Federmanager Stefano Cuzzilla e dalla giornalista del Sole 24 ore Manuela Perrone, ha già avuto l'attenzione che merita da parte di colleghi che ne hanno scritto in queste settimane e delle personalità autorevoli che l'hanno presentato. Per questo, in ordine sparso, vale la pena soffermarsi su qualche idea che la lettura del testo suggerisce.

La struttura del libro è quella di un saggio ben costruito e ben argomentato. Si parte dall'analisi, come si cambia e quanto si cambia, per arrivare ai contributi dei manager di grandi aziende - Fs, Leonardo e Snam - a quelli dei cacciatori di teste e delle società di consulenza - da Key2people a Mercer e ManpowerGroup - e raccontare perché si cambia. Ci sono però alcuni passaggi, nella prefazione di Ferruccio De Bortoli e nelle conclusioni dei due autori, che suggeriscono un percorso, quello che deve portare 'Il buon lavoro' dall'essere un'utopia a diventare realtà.

Il lavoro non è tempo sottratto alla vita e alla libertà

Ferruccio De Bortoli inquadra con poche parole il lavoro di cui si parla nel libro: "Non è più un tempo sottratto alla vita, alla libertà individuale e collettiva, ma il suo completamento, la sua realizzazione". Questo punto di partenza serve a uscire da un equivoco che la narrazione della retorica del tempo ritrovato attribuisce all'esperienza del lavoro da remoto imposto dalle restrizioni anti Covid. La strada non è liberarsi dal lavoro, cavalcando la suggestioni delle 'grandi dimissioni', la strada è rendere migliore il lavoro. Qui si innesta la domanda che, evidenziano gli stessi autori, ricorre nel libro: "Quali politiche possono trasformare un impiego in un buon lavoro?". Le risposte, riportate sommariamente, chiamano in causa le competenze, le retribuzioni, la contrattazione, la lotta al sommerso e all'evasione, la responsabilità sociale e la conciliazione tra vita personale e vita professionale. Tutti fattori indispensabili, ma ci si può arrivare solo attraverso quella che si può freddamente etichettare come 'un'operazione di sistema': "Il lavoro che cambia ha bisogno di una visione strategica, perché è il Paese a cambiare insieme al lavoro", è la sintesi ambiziosa e condivisibile degli autori.

Istruzione e formazione, due pilastri imprescindibili

Un aspetto chiave che deve accompagnare qualsiasi ragionamento sul buon lavoro è quello dell'istruzione e della formazione. Perché il lavoro lo fanno le persone, e le loro competenze, a qualsiasi livello. "Va riformato alla radice il nostro sistema di istruzione e formazione, aggiornano metodi, programmi e sistemi di orientamento. Pretendere dal mondo del lavoro che sia in grado, da solo, di formare al presente e al futuro non è solo scorretto ma è impossibile". Ecco, questa è una delle condizioni essenziali per potere uscire dalla dimensione dell'utopia e iniziare a lavorare seriamente su quella della realtà.

Retribuzione, opportunità, ma ci vuole altro

Servono uno sforzo condiviso e una visione che non sia solo orientata all'oggi. De Bortoli scrive: "Nel lavoro ci deve essere qualcosa di più della qualità del suo svolgersi, della sua retribuzione, delle opportunità di crescita che dischiude. Ci vuole altro. Certo, ma cos'è altro?". Cuzzilla e Perrone nella loro analisi danno risposte convincenti. Quella che aiuta di più a rendere l'idea della strada che va ancora percorsa è sintetizzata in una riga: "Crediamo anche noi, insieme ai manager intervistati in queste pagine, che dalle recenti conquiste non si tornerà indietro e che lo stare bene lavorando debba trasformarsi nella richiesta legittima di alcuni a risposta generalizzata in tutti i settori di attività". Ecco, la sfida principale è in queste parole, nello spazio che separa oggi la posizione di alcuni e una risposta generalizzata, che vuol dire non solo replicare le esperienze illuminate che ci sono ma farne un patrimonio condiviso, compreso e codificato almeno per molti, se non per tutti. (Di Fabio Insenga)

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