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Il Tempo

"C'è bisogno di te", il ricordo di Cossiga

26 luglio 2018 | 09.13
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(Adnkronos)
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"Da vivo gli hanno detto di tutto: pazzo, massone, infiltrato della Cia o del Kgb, Kossiga, addirittura longa manus delle Brigate rosse mandante dell'assassinio di Aldo Moro. Oggi che Francesco Cossiga avrebbe compiuto novant'anni, si può dire che è stato forse lo statista italiano che più di altri ha saputo leggere in anticipo la storia, con una visione lucida e dissacrante, attestata ai tempi, ma sempre originale e accompagnata da una curiosità senza pari per uomini e cose". Lo scrive Luigi Bisignani in un ricordo pubblicato sul 'Tempo'.

"Come giornalista ho seguito giorno e notte i 55 giorni del caso Moro, e sono testimone di come quella tragica vicenda lo abbia segnato, perfino sulla pelle, segno indelebile di un dolore insopportabile -scrive Bisignani-. Il giorno dopo il rapimento, ad una domanda su cosa avrebbe fatto se tutto si fosse risolto in poche ore un Cossiga, disperato ma risoluto, lasciò tutti di stucco: 'Mi dimetterò un minuto dopo. Hanno rapito il presidente del mio partito e il mio punto di riferimento politico. Non è possibile che io resti un minuto di più'. E, dopo 55 giorni, non ebbe un attimo di esitazione nonostante Giulio Andreotti, presidente del Consiglio dell'epoca, lo pregò di rimanere al suo posto".

"Si rifugiò in Sardegna all'hotel Cala di Volpe con Zanda, Anna Maria Brizi, Alfredo Masala, una specie di tuttofare Capo Saiu ed io che li raggiunsi per qualche giorno. Era invecchiato di botto, i capelli più bianchi e la sua vitiligine più evidente. Spesso camminava da solo, all'alba, con dei bermuda scozzesi sui prati del Pevero Golf, forse per ritrovare la forza di riflettere dopo quelle terribili settimane in cui non era riuscito a salvare il suo amico", prosegue.

"Da allora scansionò il fenomeno del terrorismo, al punto di voler parlare negli anni anche con molti brigatisti per scoprire eventuali collegamenti con i 'servizi' esteri e capire dove la Democrazia cristiana, ma anche il Partito comunista, avevano sbagliato -scrive ancora Bisignani-. Interrogarsi sul passato per farsene una ragione. Leggere alcuni avvenimenti per trarne insegnamenti. Allargare le visioni per non lasciare spazio ad altro terrore. Capì per primo che i partiti non riuscivano più a interpretare le esigenze della società civile, lo angosciava lo sbandamento del movimento studentesco, come la crisi della classe operaia, e con il crollo del muro di Berlino Cossiga comprese definitivamente che tutto sarebbe cambiato, non solo la politica, e le ripercussioni si sarebbero sentite dalla magistratura alla Chiesa".

"Era il 1991 e mi suggerì di far leggere ad Andreotti un'intervista del cardinal Ratzinger dalla quale si capiva che il Vaticano si sarebbe poco interessato delle vicende italiane, nello stesso anno in cui ci mancò poco che i Carabinieri, su suo ordine, facessero irruzione al Consiglio superiore della magistratura - si legge ancora -. Del futuro Papa era amico sincero da quando lo conobbe come teologo negli anni 80, prima ancora che diventasse arcivescovo di Monaco e prefetto del sant'Uffizio. Con Ratzinger parlava di dottrina, in tedesco, a Bressanone, durante lunghe passeggiate e dopo, magari davanti a un piatto di spaghetti, si raccontavano barzellette".

"Rideva Cossiga di gusto ed era capace di arrabbiarsi furiosamente all'insegna del motto dei pastori sardi, secondo il quale 'ad atto di guerra si risponde con atto di guerra' -prosegue Bisignani-. Una mattina riuscì addirittura ad infuriarsi con Gianni Letta, che adorava e tempestava di chiamate, perché la sua mite moglie, Maddalena, non glielo aveva passato immediatamente al telefono in quanto impegnato sotto la doccia".

"Nessuno come lui sapeva spaziare dalla filosofia alla storia, dal pettegolezzo mondano, alle ultime diavoleria dell'elettronica. Ascoltarlo era davvero una lezione di vita. Se poi le spettatrici erano belle donne, era delizioso vedere come le corteggiava con delicatezza, senza mai dimenticare di mandare fiori il giorno dopo con biglietti galanti. Ed a proposito di fiori, grandi cesti di rose rosse a Margaret Thatcher che lui adorava e che Andreotti detestava. Come dice l'editore Pippo Marra, che negli ultimi venti anni gli è stato più vicino di chiunque e lo capì più di tutti, 'Presidente, come mi manchi!'".

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