
L'esperienza di un medico che mentre studiava lavorava nei villaggi: "All'inizio non sai fare niente, poi impari il dovere, il rispetto, l'empatia"
Il video dell’animatore ventenne che a Rimini ha deciso di “scappare” dal villaggio turistico in cui era appena arrivato, denunciando sui social condizioni di lavoro inaccettabili, ha acceso un dibattito: sfruttamento o mancanza di spirito di adattamento?
Tra i commenti indignati e le prese di posizione ufficiali, ci sono anche voci che raccontano un’altra storia: quella di chi, pur affrontando stipendi modesti e sistemazioni spartane, ha tratto da quel lavoro estivo molto più di quanto indicava la busta paga.
Arianna Giovannetti, oggi medico legale, è una di queste. Nei dieci anni in cui, durante l’estate, ha fatto l’animatrice nei villaggi turistici, ha portato avanti gli studi in medicina, fino alla laurea, seguita poi da un dottorato e un master. “Partivo con l’idea di fare un’esperienza divertente ma anche istruttiva», racconta all’Adnkronos. “Arrivi in un villaggio, entri in un’équipe e ti chiedi: qual è il mio ruolo? Cosa so fare? Spesso la risposta iniziale è “niente o quasi””.
Da lì comincia un percorso fatto di apprendimenti concreti e invisibili: “Ho imparato che ci vuole rispetto, che bisogna adattarsi, che per rivendicare un diritto bisogna prima rispettare i propri doveri. Ho imparato che si ha un capo e che va seguito anche se non sempre si capiscono le ragioni di una scelta. Ho scoperto che il lavoro di squadra vince sempre su quello individuale e che se ognuno fa anche solo lo 0,1% in più del proprio dovere, tutti crescono”.
Non solo. La puntualità (“se dai un appuntamento, arrivi cinque minuti prima”), l’organizzazione, la capacità di accogliere con un sorriso, la condivisione delle emozioni, diventano strumenti che restano per la vita. “Ho guadagnato poco, il lavoro mi ha aiutato a mantenermi, avevo una borsa di studio. Ma questa esperienza ti cambia, ti cresce, ti tempra, ti fa evolvere”.
Non è una questione di negare i problemi: paghe basse, alloggi fatiscenti e sfruttamento esistono e vanno denunciati. Ma per molti, soprattutto quando il curriculum è ancora vuoto, il lavoro stagionale da animatore non è (solo) un impiego: è un laboratorio di relazioni, resistenza e autonomia. E, per qualcuno, una palestra che ha contribuito a costruire una carriera in tutt’altro settore.