
Il fallimento fa paura? Sì, ma non solo. Un sondaggio realizzato su Studenti.it (http://www.studenti.it) compilato da 2.040 utenti ci racconta un quadro ricco di sfumature: emozioni intense, timori concreti, ma anche strategie per rialzarsi. Ecco cosa emerge, punto per punto.
1) Cosa proviamo quando pensiamo al fallimento. La parola 'fallimento' attiva soprattutto tristezza (26%), seguita da rabbia (24%) e ansia (16%). Una parte del campione dice di non averci mai pensato davvero (15%); altri lo considerano 'parte della vita' (12%). Una minoranza dichiara che la prospettiva di fallire li motiva (8%). Prevalgono quindi emozioni negative (tristezza, rabbia, ansia), segno che il fallimento viene ancora percepito come minaccia all’autostima. Allo stesso tempo, l’idea che 'fa parte della vita' e la quota che lo trasforma in motivazione mostrano spiragli di una cultura della crescita.
2) Qual è il timore più grande legato al fallimento. La paura dominante è “non trovare la mia strada” (23%). Seguono deludere gli altri (18%) e deludere me stesso/a (18%). Un 15% dice “non ho paura, ci provo”, mentre essere giudicati (13%) e non riuscire a migliorare (12%) chiudono la lista. Il timore non riguarda tanto l’errore singolo, quanto la direzione: scegliere il percorso giusto, dare senso alle scelte. Il giudizio altrui pesa, ma pesa anche il proprio. È qui che entrano in gioco orientamento, informazioni chiare e contesti che permettano di sperimentare senza etichette.
3) Cosa facciamo, concretamente, quando falliamo. La risposta più comune è “mi abbatto, ma poi riparto” (36%). In molti analizzano l’errore (26%), altri si bloccano (16%) o non sanno come reagire (11%). Un 7% finge che non sia successo, mentre solo il 5% chiede aiuto. Esiste una resilienza di base: ci si abbatte, ma si riparte. Il dato sull’analisi dell’errore è incoraggiante perché è la leva che trasforma il fallimento in apprendimento. Restano due segnali d’allarme: il blocco e la difficoltà a chiedere aiuto (percentuale bassa ma significativa). Qui scuola, famiglia e pari possono fare la differenza.
4) Cosa aiuterebbe ad avere meno paura di sbagliare. La risposta più votata sorprende: “Niente, ci devo passare da solo” (31%). Poi un ambiente scolastico/universitario più empatico (16%), sapere che anche gli altri falliscono (15%), più esperienze pratiche (15%), genitori/prof più comprensivi (13%) e un percorso di supporto psicologico (11%). Molti ragazzi sentono che il lavoro sul fallimento è personale. Ma chiedono anche contesti che non trasformino l’errore in stigma: empatia, comprensione, normalizzazione dell’errore e pratica (laboratori, progetti, prove sul campo) per imparare facendo.
Per gli studenti sapere che la tristezza o la rabbia sono reazioni comuni può aiutare a non spaventarti delle emozioni. Se ti blocchi, prova a fare un passo micro (una mail, una pagina, una richiesta di chiarimento): l’azione sblocca il loop mentale. Ricorda: analizzare l’errore è già una strategia scelta da 1 studente su 4. Per la scuola e l’università, gli studenti chiedono empatia e pratica. Rubriche di valutazione trasparenti, feedback orientati al processo, spazi per riprovare e valutazioni che premino i progressi riducono la paura e aumentano la motivazione. Per i genitori e i prof: il rischio più temuto è “non trovare la strada”. Aiuta a esplorare (open day, colloqui di orientamento, tirocini brevi), valida il percorso più che il voto singolo e normalizza i passaggi a vuoto (succede a tutti, anche agli adulti). Dal sondaggio emerge un rapporto complesso: il fallimento fa male, ma può diventare motore di crescita. Gli studenti temono soprattutto di sbagliare direzione, non tanto l’errore in sé; quando cadono, molti si rialzano e una buona parte analizza ciò che non ha funzionato. Per ridurre la paura servono ambienti più empatici, occasioni pratiche e una narrazione che normalizzi l’errore come tappa dell’apprendimento. Il resto, lo dicono i ragazzi, tocca a ciascuno di noi, passo dopo passo.