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Alitalia: da Mengozzi a Cimoli, gli anni dell'agonia/Adnkronos

28 settembre 2015 | 16.43
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Infophoto - PRISMA
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Una lunga agonia che ha poi segnato la fine della vecchia compagnia di bandiera pubblica nel 2008. Sono gli anni 'neri' che vanno dal 2001 al 2007 che oggi tornano alla ribalta con la sentenza della VI sezione penale del Tribunale di Roma, che vede, tra l'altro, quattro condanne, a cominciare da quelle di Giancarlo Cimoli e Francesco Mengozzi. E' il capitolo finale che comincia dopo il traumatico divorzio tra Alitalia e Klm (aprile 2000), e dopo le dimissioni di Domenico Cempella nel febbraio 2001. Alla cloche viene chiamato Francesco Mengozzi: dopo incarichi in Rai e nelle Fs spa, è lui il manager che il Governo Amato individua come possibile risanatore di Alitalia, che già inanellava, anno dopo anno, perdite su perdite, a parte l'eccezione di quello che è considerato l'ultimo vero utile dell'aviolinea nel '98.

Al timone rimane per 1000 giorni. Nell'estate del 2001, Mengozzi stringe un accordo con Air France che prevede uno scambio azionario del 2%. Alitalia entra anche nell'alleanza globale Skyteam e così, almeno, non si trova ad affrontare da sola la drammatica crisi del trasporto aereo seguita all'attentato alle Twin Towers dell'11 settembre. Mengozzi vara, nei giorni seguenti l'attacco terroristico, il cosiddetto contingency plan, che prevede la cancellazione di diverse rotte del network intercontinentali, come Hong Kong, Pechino, Bangkok, San Francisco. L'obiettivo immediato è quello di è contenere i costi ma, nel lungo periodo, gli effetti si fanno sentire: quando non si presidiano più i mercati, poi è difficile riconquistarli. E, per Alitalia, i nodi sono poi venuti al pettine.

Durante la gestione Mengozzi, una boccata d'ossigeno nelle casse di Alitalia arriva dalla positiva conclusione dell'arbitrato con Klm. Per la rottura unilaterale dell'alleanza gli olandesi deve versare 250 milioni di euro, oltre alle penali. Klm propone alla controparte anche il pagamento in azioni, per limitare i contraccolpi sui propri conti, ma i vertici della compagnia preferiscono il beneficio immediato del pagamento cash. Nell'estate del 2003, si decide la controllata Eurofly, per 13 milioni di euro e due aerei per 3 milioni (con canoni di affitto che ammontavano a 6).

Ma quell'estate è infiammata anche dalla vertenza con le organizzazioni sindacali. Nell’ambito di un piano di risparmi, la compagnia decide di ridurre il numero di assistenti di volo sugli aerei di medio raggio, diminuendo, se pur di poco, il numero dei posti a bordo e introducendo una nuova formula di ristorazione, che prevede la semplice consegna al passeggero di una scatola con lo snack al posto del tradizionale servizio.Tanto basta per causare una nuova epidemia improvvisa tra gli assistenti di volo. Nel settembre di quell'anno, Mengozzi presenta il nuovo piano industriale, che, tra gli elementi più contestati, prevede anche l'outsourcing di alcune attività. Il piano viene respinto e, nel giro di pochi mesi, la situazione al vertice si deteriora e Mengozzi lascia nel febbraio del 2004.

Segue il breve interregno di Marco Zanichelli. Sul nuovo piano si registrano tensioni sempre più forti, la liquidità di cassa ha i mesi contati. Il caso Alitalia arriva a Palazzo Chigi. I vertici della compagnia sono sempre più in bilico e i primi di maggio, con una telefonata in piena notte, l'allora sottosegretario alla presidente del Consiglio, Gianni Letta, chiama il numero uno delle Ferrovie, Giancarlo Cimoli, ribattezzato 'Mister Diesel', a risanare i conti.

Il primo atto della gestione Cimoli è la richiesta di un prestito ponte di 400 milioni di euro per assicurare la continuità aziendale e l'attuazione del nuovo piano industriale. Piano che, come previsto dagli accordi di Palazzo Chigi, è incentrato su una riorganizzazione societaria con la creazione di due distinte società, Alitalia Fly e Alitalia Servizi. Tutto deve passare, tra l'altro, attraverso accordi con i sindacati che assicurino un cospicuo risparmio sul costo del lavoro. A settembre, 2004, vengono, infatti, rinnovati i contratti delle tre diverse categorie di personale. E, intanto, si apre la partita per la gestione dei 3.800 esuberi, previsti dal piano. Nel dicembre 2005 viene varata una nuova ricapitalizzazione da un miliardo varata mentre il Governo decide la privatizzazione della compagnia con la discesa del Tesoro al di sotto del 50%.

Ma, nonostante un avvio che sembra riportare un po' di serenità nei cieli di Alitalia, le cose non vanno secondo i piani. La riorganizzazione societaria inciampa sul problema dell'esternalizzazione di attività della compagnia. Intanto, nel 2005, Alitalia scende in campo per l'acquisizione di Volare Group e la spunta su anche Eurofly-Meridiana , Air One e Miro Radici Textile Energy.

Anche il processo di riduzione delle perdite, passate dagli 858 milioni del 2004 ai 167 del 2005, il 2006, anno che doveva segnare il ritorno all'utile, si chiude in rosso profondo per circa 400 milioni. S'incrina il rapporto di fiducia con l'azionista e la poltrona di Cimoli è in bilico e, con il passare delle settimane, lo diventa sempre di più.

Nel febbraio del 2007, la gestione Cimoli arriva al capolinea. Il top manager viene escluso dalla lista presentata dal Tesoro in vista dell’assemblea fissata per il 22 e 28 febbraio rispettivamente in prima e seconda convocazione per il rinnovo del consiglio di amministrazione. Il rinnovo del cda è un passaggio obbligato dopo le dimissioni, lo scorso gennaio, dei consiglieri Gabriele Checchia e Jean Ciryl Spinetta. Cimoli lascia Alitalia. La vecchia compagnia di bandiera ha i mesi contati: fallita, nel 2008, la trattativa con Air France, viene commissariata nell'agosto successivo per essere privatizzata e ceduta alla cordata dei venti capitani coraggiosi.

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