Disfattisti. A loro insaputa. Ecco che cosa sono i giornalisti italiani al seguito della Nazionale. Convinti che sia la volta buona, che si possa cambiare verso e tornare finalmente competitivi, forse non sanno che questo è il miglior modo per prepararsi a un’altra delusione.
“O Bearzot o il Mundial” titolava il Corriere della Serra alla vigilia di Spagna 1982. E prima di Germania 2006 la maggior parte dei commentatori chiedeva il passo indietro di Lippi, sballottato dal ciclone Calciopoli, o almeno la rinuncia a Buffon, scommettitore per diletto. Ora invece tutti a elogiare Prandelli, autentica guida morale della resuscitata, ora che Di Pietro è ai margini, Italia dei valori. Lasciare a casa Pepito Rossi? Una scelta lucida e coraggiosa. Schierare insieme Immobile e Balotelli? Un’inutile forzatura. Il codice etico? Una svolta epocale.
Tutti i critici sono molto ragionevoli, pronti a tenere nella giusta considerazione qualsiasi circostanza attenuante (carichi di lavoro eccessivi, utilità di sperimentare moduli di gioco adatti alle grandi squadre che si devono affrontare in un Mondiale), anche quando pareggi in casa con il Lussemburgo o prendi tre gol dal Fluminense. No, così non va. Per sperare di vincere, c’è un gran bisogno di gufi e rosiconi.