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Imprese: distretti riprendono quota, nell'export più forti della Germania

23 febbraio 2015 | 16.19
LETTURA: 7 minuti

Nel 2014, secondo il rapporto annuale di Intesa SanPaolo, hanno registrato un fatturato in crescita dell'1%. E nel 2015 avranno recuperato i livelli di produzione pre-crisi, tre anni prima del resto del manifatturiero italiano. Nei primi nove mesi del 2014 le esportazioni del sistema distrettuale segnano una crescita del 3,5%, contro il +2,1% del manifatturiero tedesco.

Cava di marmo sulle Alpi Apuane (Infophoto).
Cava di marmo sulle Alpi Apuane (Infophoto).

I distretti industriali italiani riprendono quota. Alla fine di quest'anno avranno recuperato pressoché interamente i livelli di fatturato del 2008, con tre anni di anticipo rispetto all'intero sistema manifatturiero italiano, che ritornerà ai livelli pre-crisi, se tutto va bene, solo nel 2018. E, a dispetto di quanti li hanno dati prematuramente per morti, esportano a tutta birra: nel gennaio-settembre 2014 hanno esportato il 3,5% in più rispetto ai primi nove mesi del 2013, un tasso di crescita superiore a quello del settore manifatturiero della Germania (+2,1% nello stesso periodo), la locomotiva d'Europa.

E' il quadro delineato dal settimo rapporto annuale sull'Economia e finanza dei distretti industriali italiani, curato dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa SanPaolo e presentato oggi dal capo economista della Ca' de' Sass, Gregorio De Felice, e da Fabrizio Guelpa, responsabile Ricerche, al fianco dell'amministratore delegato Carlo Messina. Il rapporto analizza i bilanci aziendali degli ultimi sei anni (2008-13) di circa 12.100 imprese, appartenenti a 144 distretti industriali e di 34.300 imprese non-distrettuali attive negli stessi settori di specializzazione.

I distretti industriali italiani nel 2014 hanno registrato una crescita stimata del fatturato intorno all'1%, a prezzi correnti, sovraperformando il manifatturiero italiano, che è rimasto stagnante. A partire dal 2016, recuperati quest'anno i livelli di fatturato pre-crisi, i distretti italiani torneranno a crescere, grazie anche al contesto più favorevole, caratterizzato dal costo dell'energia più basso grazie al calo dei prezzi del petrolio, dal consolidamento fiscale ormai realizzato e dal cambio dell'euro con il dollaro, più favorevole rispetto al passato, ha evidenziato De Felice.

Tra il 2008 e il 2014 sono quasi cinque i punti percentuali di crescita in più per le imprese dei distretti rispetto alle aree non distrettuali. Alcuni distretti si sono rivelati particolarmente dinamici: al primo posto nella classifica stilata da Intesa si colloca la gomma del Sebino Bergamasco. Tra il secondo e il quarto posto i vini del Chianti, il caffè, le confetterie e il cioccolato torinese, l’occhialeria di Belluno.

Seguono le calzature di San Mauro Pascoli, la concia di Arzignano, la pelletteria e le calzature di Arezzo, le calzature napoletane. Tra i migliori quindici distretti anche il prosecco di Conegliano-Valdobbiadene, i vini del Veronese, i dolci di Alba e Cuneo, la pelletteria e le calzature di Firenze, la food machinery di Parma, le macchine per l’imballaggio di Bologna e il marmo di Carrara.

Nel biennio 2015-16 si dovrebbe assistere a un'accelerazione del ritmo di crescita delle imprese distrettuali, diffusa a tutte le principali filiere produttive. In termini mediani, l’aumento previsto del fatturato è del 3,1% nel 2015 e del 3,2% nel 2016. Insomma, "se i distretti italiani erano stati dati per morti", erroneamente, allora sicuramente "sono risorti", sintetizza De Felice.

Nei distretti la delocalizzazione non va più di moda, anche perché, ha spiegato Guelpa, le imprese si sono accorte che spesso andava a discapito della qualità del prodotto. Si assiste quindi al cosiddetto re-shoring, cioè al rientro nei territori distrettuali di produzioni precedentemente trasferite all’estero. Nei distretti nel biennio 2012-13 si è assistito ad un forte ridimensionamento del rapporto tra import dai paesi emergenti ed export. Per ogni unità di export, pertanto, è diminuita la domanda di beni intermedi importati dai Paesi a minore costo.

L’analisi evidenzia il peso crescente assunto dalle imprese di dimensioni medio-grandi e grandi, che nei distretti, in termini di addetti, è salito al 40,6% nel 2011, circa 4 punti percentuali in più rispetto alle aree non distrettuali. Imprese che hanno esercitato un ruolo di traino e contribuito alla progressiva accumulazione nei distretti di conoscenza tecnologica e dei mercati.

Nei distretti è, infatti, maggiore la capacità di esportare (il 42% delle imprese sono esportatrici, contro il 32% delle aree non distrettuali), effettuare investimenti diretti esteri (31 partecipate estere ogni 100 imprese contro 22), registrare brevetti (61 brevetti ogni 100 imprese vs 42) e marchi (39 marchi ogni 100 imprese contro 20).

Inoltre, nel tempo si è intensificata l’attività innovativa e di branding e si è ampliato il differenziale rispetto alle aree non distrettuali. Lo sviluppo di strategie immateriali è stato accompagnato in generale dal rafforzamento del grado di patrimonializzazione: tra il 2008 e il 2013 il patrimonio netto delle imprese dei distretti è aumentato del 10,8%; per le imprese non distrettuali la crescita si è fermata all’8,2%. La leva finanziaria nei distretti si è così portata al 58,5% nel 2013, quasi due punti percentuali in meno rispetto al 2008.

Novità anche per quanto riguarda la tradizionale bassa presenza di multinazionali estere nella proprietà delle imprese distrettuali. Alcune operazioni realizzate negli ultimi anni mettono in luce un interesse crescente dei capitali stranieri per le imprese italiane, che potrebbe rafforzarle soprattutto sul piano commerciale. Un settore in cui l’interesse delle multinazionali estere è da sempre molto alto, nota Intesa, è quello della farmaceutica.

Nel 2013-14 si sono verificate importanti investimenti in imprese distrettuali da parte di aziende estere, in primis Loro Piana, acquisita dal colosso francese del lusso Lvmh per 2 mld di euro, da Marazzi (ceramiche), rilevata dall'americana Mohawk Industries per 1.017 mln, e Indesit, comprata dall'americana Whirlpool per 758 mln. E ancora, ci sono stati casi meno noti al grande pubblico, come la Nuova Castelli, uno dei principali produttori di parmigiano, in cui l'inglese Charterhouse Capital Partners ha investito 300 mln.

Oppure, marchi importanti dell'alimentare made in Italy, come Garofalo (pasta) e la Scotti (riso), oggetto dell'interesse della spagnola Ebro Foods, per investimenti dell'importo di 62 e 18 mln rispettivamente.

Hanno attirato investimenti esteri anche realtà importanti del made in Italy come Poltrona Frau (243 mln dall'americana Haworth) e la Dainese (abbigliamento e accessori per motociclisti; 130 mln dall'emiratina Investcorp), o aziende che venivano da anni di enormi difficoltà come la Richard Ginori, rilevata per 13 mln dal colosso del lusso Kering.

Gridare all'invasione straniera, tuttavia, è una reazione probabilmente errata, visto che le imprese estere storicamente investono di più in ricerca e sviluppo (le imprese a controllo estero contano per ben il 25% degli investimenti in R&S che si fanno in Italia) e hanno spesso ottime capacità commerciali e distributive.

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