Il blocco navale di Israele: ecco perché esiste dal 2009 (e fu approvato dall’Onu)

Su navi dirette a Gaza e in Siria furono intercettate tonnellate di razzi, missili e proiettili. Il ruolo dell’Iran

La costa di Gaza - IPA
La costa di Gaza - IPA
02 ottobre 2025 | 18.49
LETTURA: 5 minuti

Il blocco navale imposto da Israele alla Striscia di Gaza rappresenta una delle misure di sicurezza più controverse e dibattute nel conflitto israelo-palestinese, con origini che affondano in episodi concreti di contrabbando di armi che hanno minacciato la sicurezza della regione, certificati anche da un rapporto delle Nazioni Unite.

La Karine A e la violazione degli Accordi di Oslo

Il 3 gennaio 2002, i commando navali israeliani intercettarono nel Mar Rosso la nave Karine A, battente bandiera palestinese, che trasportava 50 tonnellate di armi iraniane destinate alla Striscia di Gaza. Il carico includeva 62 razzi Katyusha con una gittata di 20 chilometri, 700 proiettili di mortaio da 120mm, missili anticarro e oltre 400.000 colpi di munizioni per armi automatiche, oltre a una tonnellata e mezza di esplosivo C-4. La nave era partita dall'Iran, aveva completato riparazioni in Yemen e si dirigeva verso il Mediterraneo per trasferire il carico su imbarcazioni più piccole destinate a Gaza.

Questo episodio costituì una violazione flagrante degli Accordi di Oslo, che limitavano rigorosamente l'armamento delle forze di sicurezza palestinesi e vietavano l'importazione di armi pesanti. L'intercettazione avvenne durante una tregua dichiarata dal presidente dell'Autorità Palestinese Yasser Arafat, rivelando una strategia di riarmo nonostante le promesse di pace. Le autorità israeliane sottolinearono che la decisione di acquistare armamenti su questa scala era stata presa prima dell'inizio della Seconda Intifada, indicando una pianificazione militare deliberata piuttosto che una risposta difensiva.

La Francop e l'arsenale Iraniano

Il 4 novembre 2009, la marina israeliana intercettò al largo di Cipro la nave Francop, battente bandiera di Antigua, con un carico di oltre 320 tonnellate di armi iraniane nascoste tra sacchi di polietilene. Il sequestro rivelò 9.000 proiettili di mortaio, 2.125 razzi Katyusha da 107mm, 690 razzi da 122mm, oltre 21.000 granate a frammentazione e più di mezzo milione di colpi per fucili AK-47. L'arsenale rappresentava circa il 10% delle scorte di Hezbollah, il più grande mai sequestrato da Israele.

La nave aveva caricato il materiale in Egitto, dopo che questo era arrivato dall'Iran attraverso il porto di Bandar Abbas, ed era diretta in Siria via Cipro. I container erano contrassegnati con codici iraniani e l'operazione avvenne sotto la supervisione di 44 Paesi invitati dalle autorità israeliane per documentare il traffico d'armi. Questo episodio dimostrò la persistenza delle rotte di contrabbando iraniane verso organizzazioni militanti palestinesi e libanesi, in violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu.

Le ragioni di sicurezza del blocco

Il blocco navale formale fu istituito da Israele il 3 gennaio 2009 e annunciato ufficialmente dalla marina israeliana il 6 gennaio dello stesso anno. L'obiettivo dichiarato era impedire il contrabbando di armi verso Gaza e fermare operativi di Hamas che potessero partire via mare con imbarcazioni cariche di esplosivi. Le intercettazioni marittime per prevenire il traffico d'armi verso Gaza erano iniziate prima della presa del potere di Hamas nel 2007.

Un rapporto del 2011 commissionato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, guidato da Sir Geoffrey Palmer, ex Primo Ministro della Nuova Zelanda, concluse che il blocco navale era legale secondo il diritto internazionale. Il panel stabilì che "Israele affronta una minaccia reale alla sua sicurezza da parte di gruppi militanti a Gaza" e che "il blocco navale fu imposto come misura di sicurezza legittima per prevenire l'ingresso di armi a Gaza via mare". Il rapporto Palmer confermò che il blocco fu dichiarato e notificato attraverso i canali appropriati con un "Notice to Mariners" che specificava le coordinate dell'area bloccata.

Il caso della Victoria

La M/V Victoria fu intercettata il 15 marzo 2011 dalla marina israeliana a 200 miglia nautiche dalle coste israeliane. La nave cargo, di proprietà tedesca e operata dalla compagnia francese CMA-CGM, navigava dal porto siriano di Latakia verso Alessandria d'Egitto.

Nascosti in tre container dietro balle di cotone e sacchi di lenticchie, furono trovati 50 tonnellate di armamenti: 2.500 colpi di mortaio, 66.960 proiettili Kalashnikov, e soprattutto sei missili antinave C-704 iraniani con radar navali e manuali in farsi. Era la prima volta che missili antinave venivano intercettati diretti a Gaza: con portata di 35 chilometri, avrebbero minacciato non solo navi militari ma anche il porto di Ashdod e obiettivi strategici nella regione.

L'operazione rivelò come l'Iran, dopo le intercettazioni precedenti, utilizzasse compagnie di navigazione europee inconsapevoli, con documenti falsificati che indicavano carichi innocenti. La Siria fungeva da stazione di rilancio, con il porto di Latakia cruciale per le spedizioni. Il trasporto violava le sanzioni ONU sull'Iran e dimostrava che permettere una nave incontrollata significava non solo razzi, ma missili antinave capaci di trasformare Gaza in una base militare iraniana nel Mediterraneo.

Il contesto del contrabbando di armi

L'Iran ha sviluppato diverse rotte di contrabbando per rifornire Hamas e altre organizzazioni militanti. Queste includevano percorsi terrestri attraverso il Sudan e la penisola del Sinai, tunnel sotterranei dal confine egiziano, e consegne marittime con materiale galleggiante raccolto da pescatori palestinesi vicino alla costa di Gaza. Anche l'Isis nel Sinai contribuì al traffico d'armi in cambio di addestramento da Hamas.

Le intercettazioni come quelle della Karine A e della Francop rivelarono un network sofisticato di cooperazione tra Iran, organizzazioni palestinesi e intermediari regionali. Le armi sequestrate includevano sistemi missilistici sempre più avanzati che avrebbero potuto colpire centri abitati israeliani a decine di chilometri di distanza e modificare significativamente l'equilibrio militare nella regione. La logica del blocco, secondo le autorità israeliane, si basava su un calcolo di sicurezza: permettere a una nave di passare senza controllo significava rischiare che razzi Katyusha raggiungessero territorio israeliano il giorno successivo.

Il blocco navale rimane parte integrante della strategia di sicurezza israeliana per controllare l'accesso marittimo a Gaza. Le organizzazioni umanitarie e alcuni esperti di diritto internazionale contestano la legalità del blocco, sottolineando il suo impatto sulla popolazione civile. Israele ha sempre opposto le intercettazioni di carichi di armi come la giustificazione principale per mantenere il controllo navale della regione.

Riproduzione riservata
© Copyright Adnkronos
Tag
Vedi anche


SEGUICI SUI SOCIAL

threads whatsapp linkedin twitter youtube facebook instagram

ora in
Prima pagina
articoli
in Evidenza