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Meloni in Libia, stallo riconciliazione e allarme per i russi

Dbeibah indebolito da scontro con governatore Banca centrale, che sta finanziando 'in modo impressionante' gli sforzi di ricostruzione dell'est

Khalifa Haftar
Khalifa Haftar
07 maggio 2024 | 21.03
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Giorgia Meloni a Tripoli e Bengasi, mentre resta lo stallo nel processo di riconciliazione tra il governo dell’ovest guidato da Abdul Hamid Dbeibah, isolato e indebolito dallo scontro con il governatore della Banca centrale libica, e l’amministrazione dell’est che fa capo a Khalifa Haftar. E mentre gli americani sono sempre più preoccupati per la presenza dei mercenari russi dell’’Africa Corps’ in Cirenaica, un tema sollevato anche dalla premier nell’incontro con il generale.

“A ognuna delle parti va bene la situazione così com’è – spiega all’Adnkronos Ashraf Shah, ex consigliere politico dell’Alto consiglio di Stato di Tripoli – A Dbeibah, che è indebolito dallo scontro delle settimane scorse con il governatore della Banca centrale, Saddek al Kabir, che ha rischiato di sfociare in un conflitto armato”, un rischio rientrato due notti fa grazie ad un accordo tra i due principali gruppi armati di Tripoli. “E ad Haftar, 81 anni, dietro al quale si nasconde la lotta dei figli per la successione”.

In realtà, il ‘clan’ Haftar insieme al presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Aquila Saleh, è diventato il primo beneficiario dello scontro tra il premier del governo di unità nazionale e al Kebir, che “sta finanziando in modo impressionante gli sforzi per la ricostruzione non solo di Derna, dopo le inondazioni di settembre, ma di tutto l’est”, racconta una fonte libica. Il fondo guidato da uno dei figli di Haftar – Belgacem – può infatti contare su decine di miliardi di dinari per investire in progetti che stanno ridisegnando l’intera regione.

Dello stallo nel processo politico ha dovuto prendere atto il rappresentante delle Nazioni Unite, Abdoulaye Batihly, ‘costretto’ il mese scorso a gettare la spugna, dopo aver tra l’altro annunciato il rinvio sine die della Conferenza nazionale sulla riconciliazione che avrebbe dovuto tenersi il 28 aprile a Sirte. E dopo aver pronunciato un duro atto d’accusa contro quelli che ha definito i ‘Big Five’: oltre a Dbeibah e Haftar, Mohammed Takala, a capo dell’Alto Consiglio di Stato di Tripoli, Mohamed al-Menfi, presidente del Consiglio presidenziale, e Aguila Saleh, presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk. "I miei tentativi - queste le parole del diplomatico senegalese - sono stati accolti con una resistenza ostinata, aspettative irragionevoli e indifferenza per gli interessi del popolo libico”.

Le ragioni delle critiche di Bathily sono chiare: secondo Karim Mezran, analista dell’Atlantic Council, il periodo di calma seguito al fallito tentativo di Haftar di entrare a Tripoli nel 2020, “ha permesso di congelare l’equilibrio di potere fra le diverse fazioni politiche, che adesso non sono disposte a cedere le rispettive sfere di influenza avviando una transizione imprevedibile verso elezioni che potrebbero rovesciare l’attuale status quo”.

A prendere il posto del diplomatico senegalese – che era stato nominato a settembre del 2022 - potrebbe essere la sua vice, l’americana di origine libanese Stephanie Koury, che assumerebbe l’incarico ad interim senza passare da un voto del Consiglio di sicurezza, dove finirebbe impallinata dal veto di cinesi e russi.

“La sua nomina due mesi fa era stata un messaggio degli americani a Bathily perché si ritirasse”, dice Shah, secondo il quale l’inviato dimissionario, che non è espressione né degli Stati Uniti né dell’Occidente, “non è mai stato considerato abbastanza forte”.

Soprattutto in un fase in cui i russi sono sempre più presenti nell’est della Libia: “Nelle ultime due settimane almeno cinque navi militari russe sono attraccate a Tobruk, con carri armati ed altro equipaggiamento militare destinato oltre che a Bengasi anche ad altri Paesi del Sahel, qualcosa che crea grande allarme negli americani”, sottolinea il politico tripolino.

L’est della Libia – nella base di Al Jufra si trovano tra gli 800 e i mille mercenari – è uno dei cinque Paesi, insieme a Burkina Faso, Mali, Niger e Centrafrica, in cui hanno messo gli scarponi sul terreno i mercenari ex Wagner, ora raggruppati negli ‘Africa corps’ sotto il comando del ministero della Difesa di Mosca.

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