Il faccia a faccia di Busan "non è andato diversamente da come ce lo si poteva aspettare", ha spiegato all'Adnkronos l'ex ambasciatore a Pechino, evidenziando come l'"assenza" di Taiwan abbia "favorito il clima dell'incontro".
"Direi che non è andato diversamente da come ce lo si poteva aspettare, per quello che ne sappiamo". Così Ettore Sequi, ex Segretario Generale della Farnesina ed ex ambasciatore d’Italia a Pechino, commenta all’Adnkronos l’incontro tra il presidente americano Donald Trump e il presidente cinese Xi Jinping, svoltosi nella notte italiana a Busan, in Corea del Sud. "È durato 90, forse 100 minuti, che non è una durata spettacolare per i cinesi, ma è normale – spiega – perché si tratta della ripresa di un contatto, il primo incontro in questa amministrazione".
Secondo Sequi, l’intesa raggiunta "è un po’ una tregua, io direi una tregua tattica a tempo, perché sappiamo che è di un anno e quindi non è certamente una svolta strutturale. È un cessate il fuoco economico a tempo", afferma. La sospensione cinese dei controlli sulle terre rare e il rinvio americano dell’estensione dei controlli su alcune società cinesi "sono entrambe misure temporanee". "Ci si poteva aspettare – prosegue – una specie di scambio tra leve materiali e leve normative: Pechino ha le leve materiali, cioè le terre rare e i magneti; Washington ha quelle normative e finanziarie, come le sanzioni e l’accesso al mercato tecnologico. Questa tregua riconosce che un’escalation simultanea danneggerebbe entrambi, e su questo non ci piove".
Sul piano dei mercati, osserva Sequi, "la reazione è stata prudente. Non ho visto grandi salti nelle borse, il che significa che i mercati prendono atto del fatto che questa tregua riduce la volatilità economica internazionale, ma il rischio strutturale resta. Un anno non è molto: è un po’ di ossigeno che serve per ripianare le scorte, ma non è un decoupling né un de-risking".
Per Sequi, due elementi temporali spiegano la scelta del momento: "Primo, i cinesi hanno accettato l’incontro subito dopo il quarto plenum del Partito comunista, in cui è stato presentato il nuovo piano quinquennale, che pone la sicurezza economica come premessa per lo sviluppo. Secondo, dall’altro lato, c’è Natale alle porte: aumentare i dazi ora farebbe salire l’inflazione, cosa che non soddisferebbe il consumatore americano e ancor meno il venditore di soia. Si prende tempo, insomma. È un accordo congiunturale e non strutturale".
Sul fronte ucraino, a cui i due leader avrebbero concordato di "lavorare insieme", Sequi ritiene che "Trump abbia capito bene il messaggio: probabilmente conta sull’autorevolezza cinese nei confronti di Putin per capire che non conviene continuare una certa situazione". Allo stesso tempo, "Trump, che ha compreso la complessità del quadro, sta cercando di mutualizzare almeno parzialmente la responsabilità. Se riuscisse a coinvolgere i cinesi, condividerebbe anche il peso politico della guerra, che oggi grava tutto su di lui".
L’ambasciatore sottolinea poi che "sarebbe stato il momento ideale per chiedere ai cinesi di smettere di acquistare petrolio russo via nave, ma lo vedremo presto: se Pechino continuerà, avremo una cartina di tornasole su quanto effettivamente si sono detti anche riguardo alla Russia".
Quanto al futuro, Sequi osserva che "l’incontro di aprile tra Trump e Xi ci dirà molto su come vorranno gestire il rapporto. Se fossi nei panni dei cinesi, chiederei tre cose: la fine dei dazi, la ripresa delle importazioni di microprocessori di ultima generazione e una minore pressione su Taiwan. Ma sono temi complessi che si preparano nel tempo, e non in un’ora e mezza di colloquio".
Sull’isola, aggiunge, "l’elefante 'fuori dalla stanza' è stato Taiwan. È evidente che non ne hanno parlato, e questo ha aiutato il clima dell’incontro. Per i cinesi, non parlarne equivale a mantenere il principio di una sola Cina; per gli americani, evitare l’argomento in questa fase significa non complicare la tregua economica. Ma l’elefante resta lì, e nessuno può fingere che non esista".
Un passaggio, aggiunge Sequi, "forse non ce lo potevamo aspettare: quello di Trump, prima dell’incontro, sulla ripresa dei test nucleari. È stata un’uscita probabilmente rivolta alla Russia, ma ha rafforzato nei cinesi la diffidenza sulle intenzioni americane in materia di deterrenza, rendendo più difficile separare il canale commerciale da quello strategico. Anche per questo parlo d'intesa congiunturale e non strutturale". (di Valerio Sarsini Novak)