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Mali, Darnis (Luiss): "Francia ha fallito ma ci ha provato, paradosso Italia"

"Per le prossimi missioni più discrezione e meno grandeur"

Jean Pierre Darnis
Jean Pierre Darnis
17 febbraio 2022 | 18.02
LETTURA: 3 minuti

In Mali la Francia ha fallito "ma ci ha provato", è troppo presto per dire quali saranno le conseguenze per la regione dopo la fine della missione "Barkhane", mentre si può già dire che Parigi dovrà ripensare le operazioni future anche in un'ottica di "più discrezione e meno grandeur". Jean Pierre Darnis, professore di Storia contemporanea all'Università Luiss di Roma, commenta così il ritiro francese dal Mali, che è un fallimento più di Francois Hollande che di Emmanuel Macron. E sottolinea il 'paradosso' Italia, costretta a lasciare la missione proprio ora che cominciava a fare una vera politica africana.

"I francesi ormai non potevano più rimanere, perché si erano accumulati tantissimi problemi - dice Darnis all'Adnkronos - Avevano fissato per il Mali un'agenda di democratizzazione che i vari colpi di Stato hanno annullato, è aumentato il divario con gli sviluppi politici del Paese, dove si era intervenuti nel 2013 per fermare i jihadisti e impedire la spartizione del Paese. Inizialmente accolta bene, man mano che la missione si è allungata nel tempo ha fatto emergere problemi e contraddizioni, dal modo di trattare con i jihadisti all'insofferenza trasversale della popolazione".

E questo, secondo l'esperto, perché la missione "non è riuscita a risolvere i problemi sociali ed economici endemici del Paese: si è pensato ingenuamente che il rafforzamento della sicurezza avrebbe anche portato con sé maggiore stabilità e quindi le condizioni per lo sviluppo in un circolo virtuoso" che, negli anni, abbiamo visto si voleva innescare anche in altre aree del mondo. Tra l'altro sottolinea Darnis, "Macron non è mai stato innamorato della politica francese fin qui seguita in Africa, ha sempre criticato questa forma di presenza, lui ha un altro modello in testa, quello di scommettere sulle nuove generazioni per creare startup e forme imprenditoriali innovative".

In questo contesto di crescente insofferenza della popolazione e di rivendicazione della propria sovranità da parte delle autorità di Bamako si sono inseriti i russi della Wagner, che perseguono obiettivi tutt'altro che "idealistici come quelli che erano alla base dell'operazione francese: Mosca si inserisce non per motivi geopolitici, ma per un connubio di interessi economici e di sicurezza", per mettere le mani sulle risorse della regione con l'appoggio ai golpisti, "aprendo poi la strada alla Cina come partner finanziario", spiega l'esperto francese.

E l'Italia? "Nel 2019, in piena crisi diplomatica con Parigi, Roma aveva accettato di inviare un piccolo contingente", per aiutare i francesi, ma anche comprendendo che era nel suo interesse, per controllare i movimenti al confine con la Libia e bloccare i flussi migratori. "Il paradosso - sottolinea Darnis - è che questo ripiegamento, in attesa di capire cosa ne sarà delle missioni Ue e Onu nel Sahel, avviene mentre l'Italia aveva compreso la necessità di una politica africana, tanto più in una regione dove ci sono importanti interessi economici ed è forte la presenza di ong e missionari".

E in attesa anche di capire se restano gli obiettivi di continuare la lotta al terrorismo e dove ricollocare parte delle forze, se in Niger o in Costa d'Avorio, evitando che anche in questi Paesi si arrivi a un rigetto della presenza francese e occidentale, una cosa è chiara, chiosa il professore della Luiss: "Finora la Francia usava queste operazioni anche per mantenere il suo rango di potenza, adesso la loro efficacia dipenderà dal grado di discrezione: meno impatteranno sulla popolazione locale, meglio sarà. Il contrario delle missioni tradizionali della Quinta repubblica".

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