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Libri: Marcelle Padovani, Napoli sa trasformare la sofferenza in cultura

La giornalista francese, 'intervistatrice' accreditata di François Mitterand con all'attivo libri scritti con Falcone e Sciascia, si sofferma sull'anima unica di Napoli attraverso interviste a personaggi eccellenti quali, tra gli altri, Padre Loffredo, il Presidente emerito Napolitano, Daniele Sepe, Gino Sorbillo, Gerardo Marotta, Lello Esposito, i fratelli Moscarelli

Marcelle Padovani
Marcelle Padovani
21 gennaio 2015 | 14.25
LETTURA: 6 minuti

Napoli "è stata una grande scoperta perché ho capito che effettivamente c'è una civiltà napoletana che ha una creatività e una capacità continua di trasformare la sofferenza in cultura che non esistono da nessun'altra parte". A parlare così all'AdnKronos, a pochi giorni dall'uscita del suo ultimo libro 'Les Napolitains' è Marcelle Padovani.

Giornalista francese 'intervistatrice' accreditata di François Mitterand, rappresenta in Italia il settimanale di riferimento 'Le Nouvel Observateur', Padovani ha manifestato la sua vicinanza all’Italia, dove vive da tempo, nei libri scritti congiuntamente con Giovanni Falcone ( 'Le juge et les hommes d’honneur') e Leonardo Sciascia ('La Sicile comme métaphore') ed ora pubblica, per le Edizioni Atelier Henry Dougier 2014, 'Les Napolitains', una serie di interviste a personalità eccellenti che illuminano diversi aspetti di Napoli. Fra gli intervistati Padre Loffredo, il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, il sassofonista e compositore Daniele Sepe, lo chef e pizzaiolo Gino Sorbillo, il filosofo Gerardo Marotta, l'artista Lello Esposito, l'intellettuale Mirella Barracco, i fratelli compositori Moscarelli, Padre Pizzuti, i99 Posse, il magistrato Giovanni Melillo, i registi Paolo Sorrentino e Mario Martone.

"Io - racconta - sono una francese che vive a Roma da quasi 40 anni. E come tanti francesi che vivono a Parigi, ma non sono mai saliti sulla Torre Eiffel, io non ero mai stata a Napoli. L'avevo attraversata per andare a Capri o Ischia, avevo fatto qualche piccolo servizio per una giornata ma non conoscevo la realtà napoletana. Un giorno sono stata sollecitata a farlo da un gruppo di magistrati in un convegno su mafia e camorra che mi hanno detto: 'Lei sa davvero pochissimo di Napoli. Stia attenta perché Napoli è un concentrato della civiltà occidentale' e questo mi ha assolutamente scossa e ho deciso di interessarmi di Napoli e allora mi sono messa a leggere un centinaio di libri in modo frenetico, poi ho fatto una scaletta di persone da intervistare e sono partita per Napoli, dove ho affittato un appartamento".

Il miracolo di San Gennaro ti permette di credere che puoi avere un'influenza sul destino

"E' stata una grande scoperta - dice la giornalista - perché ho capito che la civiltà napoletana ha la capacità a farti capire che i concetti sono relativi, per esempio sacro e profano non sono così distanti come crediamo, la frontiera tra legalità e illegalità è molto più sfumata, così come la frontiera fra ragione e miracolo. E in questo momento della mia vita - prosegue Padovani - questa scoperta ha coinciso con qualcosa che io volevo capire della nostra civiltà e del nostro modo di vivere. Sì perché ad un certo punto ci si interroga sul senso della vita. Invecchiando, senti avvicinarsi il momento della tua exit strategy e pensi alle cose essenziali che sono un concentrato di tutto ciò che è nella nostra coscienza occidentale e cioè le nostre paure, i ragionamenti, le fughe in avanti, la nostra disperata ricerca di senso nell'Universo".

"C'è Shakespeare che dice - ricorda Padovani - 'la vita è una storia da pazzi raccontata da un'idiota'. Beh, a Napoli io ho capito che le frontiere sono molto più labili di quello che pensiamo, come quelle fra naturale e sovrannaturale: per esempio il miracolo di San Gennaro non è antagonista della ragione, è semplicemente una via di fuga, qualcosa che ti permette di credere che il destino non è assolutamente irremovibile e che tu puoi avere un'influenza sul destino e questo è bello, positivo".

"Quanto poi al confine fra illegalità e legalità - evidenzia - pensiamo alle donne di Forcella che d'estate, a luglio con quel caldo pazzesco, bloccano una stradina del quartiere Forcella, ci mettono una piscina di plastica per far giocare i bambini. E' illegale, sì, ma è penalmente rilevante? Ho dei dubbi".

In questa città ho imparato cos'è la contaminazione culturale

"E lo stesso vale - fa notare ancora Padovani - per la frontiera fra sacro e profano. Il cimitero delle Fontanelle, che erano state chiuse nel '69 perché il vescovo considerava pagano il culto che si era sviluppato lì, è stato riaperto una quindicina di anni fa. Allora, infatti, arrivò Padre Loffredo, parroco del quartiere della Sanità, e ricevette le chiavi di quattro chiese, tre conventi, il cimitero, la tomba di San Gennaro e altro ma decise di non usarle e aprire la maggior parte dei siti alla popolazione perché non amava le chiavi 'che chiudono e non aprono' e perché avrebbe potuto dire la Messa solo in due posti".

"Fu una cosa inaudita - sottolinea Padovani - ma lui riuscì persino a trasformarla in una opportunità, creando una cooperativa 'la paranza', specializzata in una serie di lavori manuali, e una squadra di archeologi che fa visitare il cimitero delle Fontanelle e ad oggi anche il vescovato si è arreso".

"Al cimitero delle Fontanelle ti trovi dinanzi a 40mila crani di persone, dei 'sans papiers', morti nella peste del 1654, senza identità, né funzione, ma ora che è stato riaperto c'è una popolazione che va lì a mettere i fiori, che stabilisce un contatto, fa una preghiera, crea un rapporto fra l'aldiqua e aldilà e una continuità per evitare questa tragica impressione di rottura e separatezza che viene con l'idea della morte. Per me è una scoperta importante, solo a Napoli trovi queste cose, così come a Napoli ho imparato cos'è la contaminazione culturale, la diversità di mondi lontani metabolizzata in un modo unico".

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