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Diabete ko con staminali corrette

15 novembre 2017 | 20.06
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(Fotogramma) - FOTOGRAMMA
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Cellule staminali geneticamente corrette sono riuscite a curare nel topo il diabete di tipo 1, la forma giovanile della malattia del sangue dolce, che in Italia colpisce secondo le stime almeno 80 mila persone. Il successo dello studio di terapia genica, una prima mondiale, è pubblicato su 'Science Translational Medicine' e porta la firma degli scienziati del Centro di ricerca pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi dell'università Statale di Milano.

Gli animali diabetici sono stati trattati con un'infusione di staminali ematopoietiche ingegnerizzate, geneticamente modificate per aumentare la sintesi di una proteina chiamata PD-L1, che gli stessi ricercatori hanno dimostrato essere carente nelle staminali ematopoietiche dei pazienti con diabete 1. Un deficit che facilita l'attivazione del sistema immunitario, aiutandolo nell'auto-aggressione contro le cellule beta del pancreas che fabbricano insulina. Utilizzando un virus vettore come 'navicella', il team ha introdotto nelle staminali ematopoietiche murine la versione sana del gene che codifica per PD-L1. Quindi le hanno reimmesse in circolo nei roditori.

"In tutti i topi trattati le staminali corrette hanno normalizzato i livelli di glicemia", spiega all'AdnKronos Salute Paolo Fiorina, professore associato di Endocrinologia dell'ateneo meneghino e direttore del Centro di ricerca internazionale sul diabete di tipo 1 presso il Centro Invernizzi. In altre parole si è ottenuta una remissione completa della patologia, in pratica una guarigione. Condotto in collaborazione con il Boston Children's Hospital e la Harvard Medical School americani, il lavoro è guidato dagli scienziati milanesi che ora guardano con ottimismo al futuro: "In ricerca la cautela è d'obbligo - premette Fiorina - ma confidiamo di poter replicare il risultato anche nell'uomo". Con test clinici previsti già "nei prossimi 2-4 anni".

"La prevalenza del diabete di tipo 1 è intorno agli 1,4 casi su mille abitanti", ricorda Fiorina. In Italia si possono quindi calcolare circa 84 mila pazienti. "I picchi di incidenza sono due - prosegue il ricercatore - Il primo nei bambini di 2-4 anni e il secondo nei ragazzini di 12-14, anche se nel nostro Paese la media è spostata più su questa seconda fascia". Si ritiene che la malattia sia causata da "un'attivazione del sistema immunitario che inizia ad attaccare le cellule beta-pancreatiche produttrici di insulina". Una patologia di origine autoimmunitaria, che gli studiosi hanno curato "rimodellando le difese naturali dell'organismo".

L'approccio immunoterapeutico contro il diabete 1 era già stato tentato in ricerche precedenti, ma finora non si era dimostrato efficace. In particolare, il trapianto autologo di cellule del midollo osseo (staminali ematopoietiche del paziente, infuse per ricostruirgli il sistema immunitario) aveva funzionato, ma non in tutti i malati. Da qui l'ipotesi che nei diabetici le capacità immunoregolatorie delle cellule ematopoietiche fossero compromesse. "Abbiamo scoperto che nel diabete di tipo 1 queste staminali sono difettose - riferisce Fiorina - e ciò alimenta uno stato infiammatorio che si associa all'insorgenza della patologia". Si trattava dunque di capire cosa non funzionasse nelle cellule nei malati. E così l'esperto in qualità di group leader, la ricercatrice Moufida Ben Nasr e altri colleghi sono andati 'a caccia' delle proteine imputate, osservando che gli indizi portavano a PD-L1.

"Abbiamo visto - riassume lo scienziato - che il set di microRna regolatori che controllano la produzione di questa proteina risultava alterato nelle cellule ematopoietiche di topi e pazienti diabetici". E poiché "PD-L1 è una molecola co-stimolatoria negativa del sistema immunitario, nel senso che quando si attiva lo spegne", l'idea è stata che il deficit di PD-L1 favorisca lo scatenarsi della risposta autoimmunitaria. L'esperimento lo ha confermato: "Le staminali ingegnerizzate e reiniettate nel topo sono state in grado di migrare nel pancreas - dice Fiorina - curando completamente il diabete in tutti i topi trattati. Un terzo ha mantenuto la normoglicemia per una lunga durata".

Ora, puntualizzano gli autori, serviranno ulteriori studi per definire la durata degli effetti della nuova terapia cellulare e la frequenza di somministrazione del trattamento. Ma la tecnica ha speranza anche nell'uomo? Per Fiorina è d'obbligo "un cauto ottimismo", tuttavia "le premesse ci sono tutte": i ricercatori hanno infatti già verificato la validità della metodica anche ex vivo su un modello umano di diabete 1, usando staminali ematopoietiche 'gm' umane. Non solo. Lo stesso risultato ottenuto correggendo geneticamente le cellule si potrebbe avere anche trattandole con un cocktail di tre farmaci per ripristinare la produzione di PD-L1: interferone beta, interferone gamma e acido polinosinico-policitidilico.

L'équipe di Fiorina, insieme agli scienziati dell'azienda Fate Therapeutics di San Diego, in California, stanno lavorando per ottimizzare il mix farmacologico capace 'curare' le staminali ematopoietiche dei malati di diabete. Mentre sono già in corso contatti con l'agenzia regolatoria Usa Fda per avere l'ok a un trial clinico contro il diabete di tipo 1: "La speranza è di condurlo qui a Milano" al Fatebenefratelli-Sacco-Buzzi-Melloni, auspica lo studioso. Che ci tiene a chiarire un punto: "I diversi approcci contro il diabete 1 procedono parallelamente e uno non esclude l'altro. Ben vengano la messa a punto di nuove insuline e i progressi nel campo degli infusori verso il traguardo del pancreas artificiale. Sono fondamentali e preziosi per la qualità di vita dei malati, anche se il sogno resta la cura definitiva".

"Pensiamo che la risoluzione del deficit di PD-L1 possa fornire un nuovo strumento terapeutico", afferma Ben Nasr, del Dipartimento di scienze biomediche e cliniche 'L. Sacco' della Statale e del Centro Invernizzi. "La forza di questo approccio è la virtuale mancanza di controindicazioni, perché si usano cellule dei pazienti stessi, per di più sicure e già ampiamente sfruttate in clinica come le staminali ematopoietiche", aggiunge Fiorina. "Vogliamo creare un polo di ricerca all'avanguardia per la diagnosi, il trattamento, la cura e la prevenzione di patologie dell'età pediatrica - commenta Gian Vincenzo Zuccotti, direttore del Centro Invernizzi - Questo grazie alla collaborazione tra l'università e i Dipartimenti clinici del Polo ospedaliero Sacco e dell'ospedale dei bambini Buzzi".

Il lavoro è stato sostenuto dall'Efsd/Sanofi European Research Program, da un Grant-In-Aid dell'American Heart Association e da una sovvenzione di Fate Therapeutics. Fiorina detiene un brevetto sulla funzione immunoregolatoria delle cellule staminali ematopoietiche.

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