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Lo studio

Un 'pacemaker' contro l'Alzheimer

31 gennaio 2018 | 17.46
LETTURA: 3 minuti

Immagine d'archivio (Fotogramma) - FOTOGRAMMA
Immagine d'archivio (Fotogramma) - FOTOGRAMMA

Una signora sorridente di 85 anni, LaVonne Moore, è il volto di una nuova terapia sperimentata dall'Ohio State University per imbrigliare l'Alzheimer. I ricercatori hanno testato sulla paziente una sorta di 'pacemaker' cerebrale per contrastare i sintomi della malattia. Il tutto impiantando nel suo cervello dei dispositivi elettrici che stimolano le aree coinvolte con le decisioni e la soluzione dei problemi. Così, a differenza di molti pazienti con demenza, LaVonne può ancora cucinare, vestirsi da sola e organizzarsi per uscire. Ma ancora non è chiaro se la stimolazione cerebrale profonda (Dbs) cui è stata sottoposta sia la chiave della sua indipendenza.

I risultati dello studio sono stati pubblicati online sul 'Journal of Alzheimer's Disease'. La terapia con le 'mini-scosse' indolori sta già aiutando centinaia di migliaia di pazienti con il Parkinson a gestire i tremori, ma l'uso contro l'Alzheimer è ancora sperimentale e solo pochi studi sono stati realizzati su questa applicazione. Uno, recentemente, è stato pubblicato da un team della Fondazione Santa Lucia Irccs, guidato da Giacomo Koch. Ebbene, il gruppo di Douglas Scharre all'Ohio State University Wexner Medical Center è convinto che questo approccio, mirato alle aree del lobo frontale del cervello, possa aiutare i pazienti con Alzheimer a restare indipendenti più a lungo.

Ma come funziona la tecnica? I medici impiantano sottilissimi fili con elettrodi nel cervello di un paziente sotto anestesia, e il dispositivo rilascia una stimolazione indolore e mirata. Il pacemaker di LaVonne è stato impiantato 3 anni e mezzo fa, e da allora la sua demenza è sì peggiorata, ma molto più lentamente rispetto alle attese, come ha testimoniato anche il marito della donna, Tom Moore. Risultato? Pur avendo la malattia da molto tempo, la signora ha conservato la sua indipendenza.

Nello studio pilota, oltre alla donna sono stati coinvolti altri due pazienti, ma solo uno avrebbe mostrato benefici significativi. Gli esperti sottolineano che è troppo presto per dire se il trattamento è utile per contrastare il declino cognitivo. Ma certo i risultati di LaVonne aprono alla speranza.

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