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Molecola smaschera tumori

31 maggio 2019 | 17.33
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I risultati in anteprima mondiale all'Asco di Chicago

Immagine di archivio (Fotogramma) - FOTOGRAMMA
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Dall'inviato dell'AdnKronos Salute Francesco Maggi

Modificare il tumore per renderlo più visibile agli 'occhi' del sistema immunitario. Uno studio pionieristico del Centro di immuno-oncologia (Cio) del policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena, diretto da Michele Maio, apre le porte alla sfida attuale dell'oncologia, quella di aumentare il numero di pazienti che rispondono positivamente all’immunoterapia. I risultati dello studio Nibit-M4 saranno presentati in anteprima mondiale domani all'Asco (American Society of Clinical Oncology) di Chicago e sono frutto della ricerca sostenuta da Airc e dalla Fondazione Nibit, Network Italiano per la bioterapia dei tumori.

La sfida attuale nella lotta al cancro è di aumentare il numero di pazienti che rispondono positivamente all'immunoterapia. Per farlo occorre 'preparare' il tumore a essere riconosciuto in modo più efficace dal sistema immunitario.

Il gruppo di ricerca diretto da Michele Maio, in collaborazione con importanti centri italiani ed europei, "ha dimostrato che nei pazienti con melanoma la sequenza di guadecitabina e ipilimumab - il primo un agente ipometilante, il secondo un immunoterapico - migliora la capacità del sistema immunitario di riconoscere ed attaccare le cellule tumorali", sottolinea la nota della Fondazione Nibit. Lo studio di fase 1b, iniziato nel 2015 e che ha coinvolto 19 pazienti con melanoma metastatico, ha innanzitutto raggiunto l’obiettivo di dimostrare la sicurezza e la tollerabilità della sequenza di somministrazione dei due farmaci. Dalle analisi è anche emerso che nel 42% dei pazienti si è verificato un controllo della malattia e nel 26% dei casi una risposta obiettiva al trattamento", evidenzia la Fondazione Nibit.

Negli ultimi dieci anni l’immunoterapia ha rivoluzionato il trattamento dei tumori. "Alcune neoplasie che non lasciavano scampo oggi possono essere trattate con successo, ma solo circa il 40-50% dei pazienti risponde a questo genere di cure - sottolineano gli esperti - Se da un lato una delle possibili strategie per aumentare la percentuale è migliorare la sequenza con cui somministrare i diversi immunoterapici, l'altra prevede la somministrazione dell'immunoterapia in combinazione a molecole in grado di modificare le caratteristiche del tumore, con l'obiettivo di renderlo maggiormente visibile al sistema immunitario. Lo studio va proprio in quest'ultima direzione".

"I risultati raggiunti - spiega Michele Maio, direttore del Cio di Siena e presidente della Fondazione Nibit, che ha sostenuto lo studio insieme ad Airc - sono per noi motivo di grande orgoglio in quanto confermano la nostra iniziale intuizione sulla necessità di creare le condizioni affinché gli immunoterapici possano agire al meglio. Quanto ottenuto è perfettamente in linea con i risultati pre-clinici raggiunti negli anni scorsi dai laboratori del nostro Centro. Una dimostrazione di quanto sia fondamentale l’integrazione tra la ricerca di base e quella clinica, sostenute negli anni dalla Fondazione Nibit e dalla Fondazione Airc, anche grazie al programma 5x1000 cominciato nel 2018". Un passo avanti ulteriore verso la cronicizzazione del cancro.

"I dati dello studio - spiega Anna Maria Di Giacomo, coordinatrice della ricerca clinica del Cio e autore principale dello studio - ci indicano che siamo sulla buona strada. La somministrazione sequenziale di un agente ipometilante e dell’immunoterapico è un trattamento fattibile e complessivamente ben tollerato, che può migliorare l'efficacia dell'immunoterapia".

Non solo. Le analisi effettuate sui campioni tumorali dei pazienti hanno mostrato che l’utilizzo della guadecitabina ha portato a una maggiore espressione di quei geni implicati nel riconoscimento tra tumore e sistema immunitario, chiara prova della bontà del metodo utilizzato”.

La strategia utilizzata ha previsto la somministrazione di un farmaco epigenetico, la guadecitabina, capace di determinare modificazioni chimiche nel Dna delle cellule tumorali per poterne modulare l’espressione genica. "Le modifiche generate da questo farmaco - spiega Alessia Covre, coordinatore della ricerca pre-clinica del Cio al Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena, coautore dello studio - fanno sì che le cellule tumorali esprimano, sulla propria superficie, molecole che hanno un ruolo fondamentale nell'interazione tra tumore e sistema immunitario. Così il tumore risulta maggiormente visibile agli 'occhi' delle cellule del sistema immunitario del paziente e la guadecitabina crea le condizioni ottimali per fare in modo che i farmaci immunoterapici somministrati successivamente possano avere maggiore efficacia".

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