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Carcere Santa Maria Capua Vetere, misure cautelari per 52 poliziotti

La decisione del gip dopo la rivolta dello scorso 6 aprile e le denunce di violenze da parte di alcuni detenuti

Le immagini delle telecamere interne
Le immagini delle telecamere interne
28 giugno 2021 | 08.07
LETTURA: 9 minuti

Sono 52 gli appartenenti al Corpo di Polizia penitenziaria nei confronti dei quali è in corso l'esecuzione di misure cautelari disposte dal gip di Santa Maria Capua Vetere nell'ambito dell'inchiesta della Procura sammaritana sui presunti pestaggi avvenuti nel carcere casertano ad aprile 2020. Tra i destinatari di misura cautelare figura anche Antonio Fullone, provveditore dell'amministrazione penitenziaria della Campania.

L'inchiesta era stata avviata a seguito delle denunce, da parte di alcuni detenuti, di violenze avvenute nei loro confronti come "punizione" per la rivolta scoppiata il 6 aprile 2020 a seguito di alcuni casi di positività al Covid in carcere. A giugno 2020 oltre 40 agenti della polizia penitenziaria sono stati raggiunti da avvisi di garanzia in quanto indagati dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere per reati di tortura, violenza privata e abuso di autorità ai danni dei detenuti.

All'esterno del carcere sammaritano si tennero proteste da parte di agenti di polizia penitenziaria per il coinvolgimento dei colleghi nell'inchiesta e per le modalità di notifica degli atti.

L'inchiesta: "Molteplici torture sui detenuti"

Molteplici torture pluriaggravate, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, falso in atto pubblico aggravato, calunnia, favoreggiamento personale, frode processuale e depistaggio. Questi i reati dei quali a vario titolo dovranno rispondere i 52 destinatari dell'ordinanza emessa dal gip di Santa Maria Capua Vetere.

Sono 8 le misure cautelari applicative della custodia cautelare in carcere, nei riguardi di un ispettore coordinatore del Reparto Nilo e 7 agenti della polizia penitenziaria, tutti in servizio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere; 18 gli arresti domiciliari, disposti nei confronti del comandante del Nucleo operativo traduzioni e piantonamenti del Centro penitenziario di Napoli Secondigliano, del comandante dirigente della Polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere, della commissaria capo responsabile del Reparto Nilo, di un sostituto commissario, di tre ispettori coordinatori di sorveglianza generale e 11 agenti di polizia penitenziaria.

Eseguite inoltre 3 misure cautelari dell'obbligo di dimora nel comune di residenza nei riguardi di tre ispettori di polizia penitenziaria e 23 misure della sospensione dell'esercizio del pubblico ufficio nei confronti della comandante del Nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria, del nucleo regionale di Napoli, del provveditore regionale per la Campania e per 21 agenti della polizia penitenziaria, quasi tutti in servizio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.

"Violenze degradanti per dare segnale forte"

Violenze "degradanti e inumane" messe in atto per "dare un segnale forte". E' quanto avvenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nel pomeriggio del 6 aprile 2020 e ricostruito dalle indagini della Procura di Santa Maria Capua Vetere. Le violenze, durate 4 ore, hanno rappresentato una "risposta" della Polizia penitenziaria alle proteste messe in atto il giorno precedente dai detenuti del Reparto Nilo del carcere sammaritano per le preoccupazioni insorte alla notizia della positività di un detenuto al Covid-19.

Dalle chat tratte dagli smartphone sequestrati è emersa la reale causale, cioè "dare il segnale minimo per riprendersi l'istituto" e motivare il personale dando "un segnale forte". La perquisizione, secondo la Procura, è stata eseguita senza alcuna intenzione di cercare strumenti atti all'offesa o altri oggetti non detenibili, ma caratterizzata da condotte violente, degradanti e inumane, contrarie alla dignità e al pudore delle persone recluse.

Le indagini delegate dalla Procura ai Carabinieri della compagnia di Santa Maria Capua Vetere hanno ricostruito quanto avvenuto anche grazie al sequestro dell'intero impianto di videosorveglianza, "nonostante - sottolinea la Procura - un tentativo di ritardare o impedire l'acquisizione delle immagini". E' stata così documentata la "perquisizione straordinaria generalizzata" nei confronti della quasi totalità dei detenuti del Reparto Nilo avvenuta il 6 aprile 2020, per la quale sono stati impiegati 283 agenti di polizia penitenziaria tra personale in servizio nel carcere e personale facente parte del "Gruppo di supporto agli interventi", istituito alle dipendenze del provveditore regionale per la Campania.

La perquisizione è stata attuata nei confronti di 292 detenuti: dalle immagini registrate dall'impianto di videosorveglianza è emersa "l'arbitrarietà delle perquisizioni" svolte con "il reale scopo dimostrativo, preventivo e satisfattivo finalizzato a recuperare il controllo del carcere e appagare presunte aspettative del personale di Polizia penitenziaria". Gli agenti, difficilmente riconoscibili perché muniti di mascherine o di caschi antisommossa, hanno formato un "corridoio umano" al cui interno erano costretti a passare i detenuti, ai quali venivano inflitti un numero "impressionante" di calci, pugni, schiaffi alla nuca e violenti colpi di manganello che le vittime non riuscivano in alcun modo a evitare, sia per il gran numero di agenti presenti che per gli spazi angusti del corridoio e degli altri locali nei quali le violenze venivano praticate.

Alle violenze si sono in molti casi sovrapposte pratiche volutamente umilianti, con detenuti costretti a un prolungato inginocchiamento sotto i ripetuti colpi degli agenti, sferrati con manganello o con calci, pugni e schiaffi; in alcuni casi le percosse si sono trasformate in prolungati pestaggi, durante i quali i detenuti sono stati accerchiati e colpiti anche quando si trovavano inermi a terra. In un caso, un detenuto è stato costretto a percorrere una sala trascinandosi in ginocchio per essere malmenato con calci, pugni e colpi di manganello; lo stesso cercava di proteggere la testa dalle percosse, venendo volutamente colpito da un agente con il manganello alle nocche delle dita. Alcuni detenuti, a distanza di 10 giorni dall'accaduto, portavano ancora i segni visibili delle percosse subite con ecchimosi su varie parti del corpo. Dalle consulenze medico-legali disposte dal pm è emerso inoltre il trauma psichico di molti detenuti, con sentimenti di vero e proprio terrore nei riguardi dei carcerieri attestato dall'estrema ritrosia manifestata nella proposizione di denunce o querele, di fatto presentate solo da una sparuta minoranza delle vittime.

Le chat: "Li abbattiamo come vitelli"

"Domani chiave e piccone in mano, li abbattiamo con i vitelli. Domate il bestiame". Così scrivevano in chat alcuni degli agenti che hanno partecipato al pestaggio dei detenuti del Reparto Nilo nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020. Le conversazioni sono state estratte dagli smartphone sequestrati dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere nell'ambito delle indagini culminate oggi con l'esecuzione di 52 misure cautelari per vari reati tra i quali anche tortura pluriaggravata.

Immediatamente dopo le 4 ore di violenze inflitte ai detenuti, gli stessi scrivevano messaggi esultanti: "Non si è salvato nessuno, abbiamo vinto, abbiamo ristabilito un po' l'ordine e la disciplina", ma anche "carcerati di merda, munnezza, dovrebbero crollare tutte le carceri italiane con loro dentro". Qualcuno parla anche di "sistema Poggioreale", sorta di cliché operativo che consisterebbe in plurime e gratuite percosse e lesioni da parte di un numero elevato di agenti di Polizia penitenziaria.

Dopo l'acquisizione delle immagini registrate dall'impianto di videosorveglianza cresce invece la preoccupazione: "La vedo nera", scriveva qualcuno, mentre c'è chi temeva di "pagare per tutti" o che "questa cosa del Nilo travolgerà tutti", a dimostrazione, secondo la Procura, della consapevolezza delle conseguenze di quanto messo in atto nel Reparto Nilo.

False accuse di resistenza ai detenuti

False accuse di resistenza e lesioni ai danni di 14 detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere sono state presentate da diversi ufficiali e agenti della Polizia penitenziaria che hanno redatto un'informativa di reato in relazione alle violenze avvenute nel carcere sammaritano il 6 aprile 2020.

Nell'informativa si rappresentava la necessità, durante la "perquisizione straordinaria", di aver dovuto operare "un contenimento attivo" delle persone denunciate, riferendo che "durante il contenimento attivo numerosi agenti avevano dovuto ricorrere alle cure dei sanitari". Tutto falso, secondo la Procura di Santa Maria Capua Vetere che ha indagato sui fatti avvenuti nel Reparto Nilo il 6 aprile 2020, indagini culminate oggi nell'esecuzione di 52 misure cautelari. Alcuni degli indagati devono rispondere dei reati di calunnia, falso ideologico e depistaggio. Secondo gli investigatori, infatti, le lesioni riportate in referti medici non sono state procurate dai detenuti, ma sono risultate conseguenza delle violenze consumate dagli stessi agenti mediante pugni, schiaffi, calci e ginocchiate ai danni dei reclusi.

I 14 detenuti falsamente accusati, oltre alle violenze fisiche patite, sono stati sottoposti a un regime differenziato nel reparto Danubio, senza alcun adeguato trattamento sanitario. Per i reati di falso ideologico e calunnia aggravati sono state disposte misure cautelari nei confronti di 7 persone: il comandante dirigente della Polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere (arresti domiciliari), 4 coordinatori Sorveglianza generale (arresti domiciliari), un ispettore coordinatore del Reparto Nilo (custodia in carcere) e il comandante del Nucleo operativo Traduzioni e piantonamenti del Centro penitenziario di Napoli Secondigliano, comandante del "Gruppo di supporto agli interventi" creato alle dipendenze del provveditore regionale per la Campania (arresti domiciliari).

Sappe: "Sorpresi da misure abnormi"

Esprime “sorpresa ed amarezza” il Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe). “Prendiamo atto dell’iniziativa adottata dai magistrati - dichiara il segretario generale del Sappe Donato Capece - La presunzione di innocenza è uno dei capisaldi della nostra Carta costituzionale e quindi credo si debbano evitare illazioni e gogne mediatiche. A noi sembrano provvedimenti abnormi considerato che dopo un anno di indagini mancano i presupposti per tali provvedimenti, ossia l’inquinamento delle prove, la reiterazione del reato ed il pericolo di fuga. Confidiamo nella magistratura perché la polizia penitenziaria, a S. Maria Capua Vetere come in ogni altro carcere italiano, non ha nulla da nascondere".

"L’impegno del primo Sindacato della polizia penitenziaria, il Sappe, è sempre stato ed è quello di rendere il carcere una 'casa di vetro' - aggiunge Capece - cioè un luogo trasparente dove la società civile può e deve vederci 'chiaro', perché nulla abbiamo da nascondere ed anzi questo permetterà di far apprezzare il prezioso e fondamentale – ma ancora sconosciuto - lavoro svolto quotidianamente – con professionalità, abnegazione e umanità - dalle donne e dagli uomini della polizia penitenziaria".

“Siamo amareggiati perché in quei giorni il carcere fu messo a ferro e fuoco e furono momenti davvero drammatici ma siamo sereni perché confidiamo nell’operato della magistratura. La polizia penitenziaria - prosegue il leader del Sappe - è formata da persone che hanno valori radicati, un forte senso d’identità e d’orgoglio, e che ogni giorno in carcere fanno tutto quanto è nelle loro umane possibilità per gestire gli eventi critici che si verificano quotidianamente, soprattutto sventando centinaia e centinaia suicidi di detenuti".

"Non solo - conclude - Ogni giorno giungono notizie di aggressioni a donne e uomini del Corpo in servizio negli Istituti penitenziari del Paese, sempre più contusi, feriti, umiliati e vittime di violenze da parte di una parte di popolazione detenuta che non ha alcuna remora a scagliarsi contro chi in carcere rappresenta lo Stato".

Salvini: "Più rispetto per le forze dell'ordine"

"Mi sto informando sugli arresti degli agenti della Polizia penitenziaria a Santa Maria Capua Vetere che repressero una delle troppe rivolte nelle carceri italiane. Che a essere arrestati siano i poliziotti che hanno difeso se stessi e il proprio lavoro è bizzarro. Poi si è innocenti fino a prova contraria, però a me piacerebbe che ci fosse più rispetto per il lavoro delle forze dell'ordine". Lo ha affermato il segretario della Lega, Matteo Salvini, ai microfoni di Rtl 102.5, durante 'Non stop news'.

Ministero Giustizia segue "con preoccupazione" sviluppi

Il ministero della Giustizia segue con ''preoccupazione gli sviluppi dell'inchiesta di Santa Maria Capua Vetere, che ha portato a numerose misure cautelari. La ministra, Marta Cartabia, e i vertici del Dap rinnovano la fiducia nel corpo della polizia penitenziaria, restando in attesa di un pronto accertamento dei gravi fatti contestati".

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