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Caso Amara, David Ermini in aula: "Riferì tutto a Mattarella"

07 luglio 2022 | 17.54
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Il vicepresidente del Csm testimone a Brescia nel processo contro Davigo

Caso Amara, David Ermini in aula:

È durata più di due ore questa mattina l’udienza del processo per rivelazione di segreto d’ufficio a Piercamillo Davigo nella vicenda dei verbali di Piero Amara sulla presunta loggia Ungheria, oggi dedicata alla testimonianza del vicepresidente del Csm David Ermini, a cui il presidente della prima sezione del tribunale di Brescia, Roberto Spanò, ha stabilito di riservare "un’udienza dedicata", per chiarire se e come Davigo, allora componente del Csm, mise al corrente alcuni colleghi dei verbali dell’interrogatorio dell'ex avvocato esterno di Eni Piero Amara, ricevuti dal pm milanese Paolo Storari (assolto in primo grado dalla stessa accusa. Sentenza contro cui la procura di Brescia ha fatto ricorso) che voleva ‘denunciare’ una presunta inerzia dei vertici della procura meneghina nell’indagare sulla cosiddetta loggia Ungheria.

Vicenda di cui Ermini - ha raccontato - fu messo al corrente la prima volta dall'allora dall'allora consigliere del Csm "quando tornammo dal lockdown, il 4 maggio 2020". "La cosa che mi colpì" è che Davigo "era molto deciso sul fatto che io dovessi avvisare il presidente della Repubblica, perché in questa presunta loggia erano indicati degli appartenenti alle forze di polizia", ha riferito in aula Ermini, che dopo il colloquio incontrò Mattarella, a cui "riferì tutto quello, né più né meno, che mi aveva detto il consigliere Davigo. E il presidente non fece alcun commento".

Passò qualche giorno e - prosegue la testimonianza del vicepresidente del Csm - "il consigliere Davigo si presentò da me senza appuntamento con una cartellina e mi disse che mi aveva fatto stampare queste dichiarazioni (quelle di Piero Amara sulla presunta loggia Ungheria, ndr). Ripeté tutto quello che mi aveva detto nel primo incontro, ma sfogliando questa cartellina: erano tutti fogli non firmati, alcuni con intestazione, altri senza, che contenevano le dichiarazioni che questo Amara aveva reso a dei pubblici ministeri a Milano".

Vedendo alcuni dei nomi "ebbi qualche dubbio" e "sulle prime ero un po’ perplesso del fatto che mi fossero mostrati degli atti informali", ha sottolineato il vicepresidente del Csm, che quando Davigo uscì dalla sua stanza e "mi lasciò" i verbali, decise di "prenderli e cestinarli", perché "ho l’obbligo di difendere il Consiglio e una velina non firmata, di dubbia provenienza, con dichiarazioni non sottoscritte, io non la posso accettare". "Mi volevo liberare di una cosa che non sapevo se era piena di calunnie" e che "se fosse uscita dalla mia stanza", avrebbe potuto arrecare "un danno incalcolabile", ha aggiunto Ermini, assicurando di aver distrutto le carte "senza leggerle" e di non aver saputo che i verbali di Amara fossero secretati "perché non li ho letti".

Secondo lui Davigo, di cui "avevo grande fiducia e stima", "mi portò" i verbali come "confidenza, per farmi vedere che quello di cui mi aveva parlato qualche giorno prima era vero" e "non mi disse di utilizzarli", né di parlarne con il comitato di presidenza, "altrimenti gli avrei detto che non avrei potuto farlo, perché non erano atti formali".

"Una delle ragioni per cui non ho formalizzato direttamente" la vicenda dei verbali di Amara è che "quando una nota di servizio viene protocollata, viene vista da quella struttura", cioè l’intera struttura amministrativa del Csm, "che questa presidenza ha ritenuto non molto affidabile", ha spiegato rendendo dichiarazioni spontanee in aula l'imputato Piercamillo Davigo, che ha ribadito di aver agito guidato dalla "finalità principale che quel processo (l’indagine della Procura di Milano sulla presunta loggia Ungheria, ndr) tornasse su binari di legalità, perché non c’erano i binari di legalità".

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