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Coronavirus, Galli: "Tutto finito con vaccino? Non siamo certi"

31 maggio 2020 | 15.39
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Coronavirus, Galli:

"Il peggio dovrebbe essere passato, la situazione non mi pare abbia connotazioni di drammaticità o di rischio immediato. Prima o poi riusciremo a controllare questo virus. E' un proposito, più che una certezza, ma è nella logica delle cose. Finirà? Forse, avendo un vaccino, finirà. Non ne siamo certi". Sono le parole dell'infettivologo Massimo Galli a Domenica In.

"C'è un cugino del virus comparso alla fine dell'800, ci ha messo un paio di generazioni per diventare un virus del raffreddore e nel frattempo ha acquisito una variabilità tale che ora gira con 9 genotipi diversi. A qualcuno può capitare un raffreddore da 2 ceppi diversi dello stesso virus nella stessa stagione. Ecco perché è complicato dire come andrà con questo qui...", prosegue.

Il virus si è indebolito? "Su 100 persone infettate, in ospedale ne devono arrivare 15 scarsi. La grande maggioranza delle persone infettate non ha una situazione pericolosa per la vita, non deve venire in ospedale. Dovremmo pensare che chi arriva in ospedale ha un virus cattivo? No. Chi resta fuori dall'ospedale mediamente è più giovane e non ha altre malattie. A fare la differenza sono le condizioni della persona che si infetta. A volte capita che anche un giovane o un giovanissimo, che dal punto di vista genetico può difendersi meno, contragga la malattia più grave"

Capitolo lockdown: "E' verosimile che questo pesantissimo sacrificio fatto, con tante persone chiuse in casa, ha dato un risultato. Senza questo risultato non avremmo potuto pensare di riaprire. Non avremo brutte sorprese? Non lo possiamo dire. Dobbiamo stare attenti, le scelte fatte per far ripartire l'economia non erano evitabili. Se fossero stati gli inguaribili cauti, si sarebbe dovuto aspettare un altro mese ma con risultati deleteri" per l'economia.

"Ora credo si possa pensare che questa cosa sia contenibile con il massimo dell'attenzione. Il peggio dovrebbe essere passato, ora siamo in guardia un po' tutti: quello che potrebbe capitare, potrebbe essere più facilmente individuato", aggiunge.

"Un'epidemia di questo tipo, con una malattia che può capitare a tutti, era una cosa lontana dal pensiero. Ho in testa tutti i morti degli anni tragici dell'Aids, di anni in cui non potevamo intervenire. La parte finale della mia carriera doveva darmi l'esperienza di questa malattia che ci ha preso pesantemente alle spalle", dice ancora.

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