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Covid, remdesivir efficace con uso precoce e su misura: lo studio

14 dicembre 2020 | 16.57
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(Afp)
(Afp)

"E' probabile che remdesivir sia un antivirale altamente efficace contro l'infezione da Sars-CoV-2", almeno "in alcuni pazienti" e "usato precocemente" secondo un "approccio personalizzato". Sono queste, in sintesi, le conclusioni di uno studio inglese sul farmaco sviluppato inizialmente contro l'epatite C, poi testato sull'Ebola e infine nel trattamento di Covid-19. Il lavoro, pubblicato su 'Nature Communications', descrive il caso clinico di un uomo contagiato dal nuovo coronavirus, ma affetto anche da una malattia immunitaria rara che compromette la capacità dell'organismo di produrre anticorpi e quindi di contrastare le infezioni. Nel paziente, remdesivir ha prodotto "un sensibile miglioramento dei sintomi" Covid e "la scomparsa del virus".

Gli autori ricordano i risultati di ricerche precedenti sul remdesivir, fra cui ampi studi che non hanno prodotto risultati definitivi, e i dati in base ai quali a inizio ottobre l'Organizzazione mondiale della sanità ha annunciato che l'antivirale non riduce in modo significativo i tassi di mortalità per Covid-19. "Ci sono stati diversi lavori pro e contro l'efficacia di remdesivir, ma alcuni di quelli condotti durante la prima ondata epidemica potrebbero non essere ottimali per valutare le proprietà antivirali del farmaco", afferma James Thaventhiran dell'università di Cambridge, Medical Research Council (Mrc) Toxicology Unit.

"La mortalità - spiega infatti lo scienziato - dipende da una combinazione di fattori che includono la replicazione virale incontrollata e soprattutto la risposta immunitaria". Pertanto, precisa Thaventhiran, "uno studio clinico che esamina solo l'impatto di remdesivir sulla mortalità risulta limitante rispetto alla nostra capacità di rispondere a una semplice domanda: quanto è buono questo farmaco come antivirale?". Il team britannico ha deciso di affrontare la questione in modo diverso, analizzando gli effetti di remdesivir "in un paziente attentamente monitorato".

Il protagonista dello studio - coordinato dall'ateneo di Cambridge e dal Barts Health Trust del Servizio sanitario inglese Nhs - è un 31enne malato di Xla, una patologia genetica rara che colpisce il sistema immunitario. Il giovane ha iniziato a manifestare febbre, tosse, nausea e vomito; dopo 19 giorni è risultato positivo a Sars-CoV-2 e il trentesimo giorno è stato ricoverato in ospedale con necessità di ossigenoterapia. Febbre e infiammazione polmonare sono persistite per più di un mese, ma stranamente senza causare gravi problemi respiratori né diffondersi ad altri organi. Probabilmente proprio per la sua incapacità di produrre anticorpi: una caratteristica di per sé negativa, perché lo rende più fragile di fronte a un'infezione, ma con un''altra faccia' positiva ossia la difficoltà ad andare incontro a un'iper reazione immunitaria.

Il trattamento iniziale con idrossiclorochina e azitromicina ha prodotto scarso effetto ed è stato interrotto ​​34esimo giorno, per avviare un ciclo di remdesivir della durata di 10 giorni. Entro le successive 36 ore febbre e fiato corto erano migliorati, nausea e vomito cessati, l'ossigeno supplementare interrotto. Parallelamente erano calati i livelli di proteina C-reattiva (Pcr) e aumentati i linfociti, e le radiografie polmonari indicavano come l'infiammazione si stesse risolvendo. Il 43esimo giorno il giovane è stato dimesso, ma una settimana dopo i sintomi sono tornati. Il 54esimo giorno un secondo ricovero, altro ossigeno, positività a Covid, infiammazione polmonare, Pcr alta e linfociti bassi. Il giorno 61 i medici hanno optato per altri 10 giorni di remdesivir, e "l'effetto è stato ancora più rapido e completo". Il 64esimo giorno il test per Sars-CoV-2 era negativo, nei giorni 69 e 70 il paziente ha ricevuto un trattamento aggiuntivo con plasma convalescente e 3 giorni dopo è stato dimesso. Questa volta guarito.

L'incapacità del giovane di eliminare l'infezione senza farmaci antivirali è molto probabilmente dovuta alla sua mancanza di anticorpi, premettono i ricercatori. Tuttavia, "la condizione insolita del nostro paziente ci ha fornito una rara visione dell'efficacia di remdesivir come trattamento per l'infezione da coronavirus Sars-CoV-2 - evidenzia Nicholas Matheson del Cambridge Institute of Therapeutical Immunology and Infectious Disease (Citiid) dell'università di Cambridge - La drammatica risposta al farmaco suggerisce che può essere un trattamento altamente efficace, almeno per alcuni pazienti" e probabilmente "più utile se somministrato all'inizio dell'infezione - consigliano i ricercatori - prima che il virus sia in grado di innescare una risposta immunitaria potenzialmente catastrofica".

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