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Csel, slitta scadenza bilancio previsione Comuni nonostante censura Corte conti

27 dicembre 2021 | 11.38
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Lo scorso anno è scivolata al 31 maggio per il riacutizzarsi della pandemia

(IPA/Fotogramma)
(IPA/Fotogramma)

E' di questi giorni la notizia che il bilancio 2022-2024 slitterà al 31 marzo dell’anno prossimo. Una prassi, questa, più volte censurata dalla Corte dei conti che insiste sull’importanza di fare una vera programmazione di ampio respiro. E' quanto emerge da un dossier di Centro studi enti locali per l'Adnkronos, basato sull’elaborazione di dati del ministero dell’Interno e del Mef.

L’anno scorso, complice anche il riacutizzarsi della pandemia, la scadenza per l’approvazione del bilancio 2021-2023 è scivolata fino al 31 maggio. Ciò eccezion fatta per una particolare categoria di enti; il decreto Sostegni bis autorizzò infatti la proroga al 31 luglio per le amministrazioni che avevano incassato le anticipazioni di liquidità al centro della sentenza della Corte costituzionale n. 80/2021, i cui effetti rischiavano di essere talmente dirompenti che per ovviarvi fu varato il Salva comuni.

A metà novembre di quest'anno, due terzi dei Comuni siciliani non avevano ancora approvato il bilancio di previsione 2021-2023 e a metà dicembre, a un passo dalla chiusura dell’esercizio finanziario, nella banca dati delle amministrazioni pubbliche mancavano all’appello oltre 200 preventivi, più della metà dei quali attesi proprio da amministrazioni siciliane.

Ma cosa succede in caso di mancata approvazione del bilancio di previsione entro il termine stabilito per legge? Scatta la 'gestione provvisoria': fase in cui il Comune può 'assumere solo obbligazioni derivanti da provvedimenti giurisdizionali esecutivi, quelle tassativamente regolate dalla legge e quelle necessarie ad evitare che siano arrecati danni patrimoniali certi e gravi all’ente'. In altre parole, l’amministrazione ha le mani legate: stop agli investimenti, blocco delle assunzioni e dei trasferimenti da parte dello Stato.

Possono essere sostenute soltanto le spese obbligatorie per legge, come onorare i contratti già assunti, pagare i dipendenti e offrire servizi pubblici essenziali come la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. Persino servizi comunemente percepiti come fondamentali, quali la mensa o il trasporto scolastico, non fanno parte di questo ristretto elenco. Un ente che non approva il proprio bilancio non può, quindi, neanche offrire questo genere di servizi ai propri cittadini (sebbene, nella prassi, questo divieto sia spesso aggirato).

Conseguenze dunque gravissime e devastanti per le comunità che si trovino coinvolte in crisi simili. Ma cosa le determina generalmente? Nei casi in cui lo stallo è di natura politica, questo può essere efficacemente sanato attraverso gli strumenti previsti dalla legge, quali il commissariamento e, nei casi più gravi, lo scioglimento del Consiglio comunale. In altri casi invece l’esercizio provvisorio o addirittura la gestione provvisoria sono favorite da un tacito accordo tra gli Uffici comunali (che dovendo seguire le limitazioni ferree prima citate sulle spese sostenibili in tale contesto si sostituiscono, a volta involontariamente mentre altre volte consapevolmente, proprio alla politica nel fare le scelte gestionali e strategiche dell’ente, autoergendosi a paladini del rigore finanziario).

Un altro problema, siciliano ma non solo, è che molto spesso l’impasse nella presentazione dei bilanci di previsione è di natura 'tecnica'. Il bilancio di previsione deve essere deliberato in pareggio finanziario complessivo per l’esercizio di competenza, cioè deve esserci equilibrio tra spese ed entrate finali. Per molti enti, soprattutto siciliani, le uscite (inclusi tra queste il Fcde di competenza dell’anno e il disavanzo di amministrazione determinato per l’incremento del Fcde a consuntivo) superano nettamente le entrate e, non potendo più intervenire sul fronte spese (già ridotte al lumicino e al minimo previsto dalla legge), l’unica strada per raggiungere l’obiettivo sarebbe agire sulla leva delle entrate, aumentandole, ovvero, di ridurre gli accantonamenti e i disavanzi migliorando la capacità di riscossione delle proprie entrate.

Il fatto è che la capacità di riscuotere i propri denari è mediamente così bassa che gli incassi non bastano neanche a coprire il minimo sindacale che ogni Comune deve garantire nell’ambito della propria gestione. Mettere nero su bianco questa impossibilità di 'pareggiare i conti', equivale a dichiarare il dissesto finanziario. Il risultato è lo stallo in cui si trovano oggi centinaia di enti. Questo non è un problema squisitamente siciliano (e non a caso tra gli enti che hanno passato quasi l’intero anno in esercizio provvisorio ci sono anche comuni calabresi (11%), campani (9%), lombardi (4%), laziali (3%), piemontesi (3%), abruzzesi, pugliesi, lucani, marchigiani, sardi e molisani).

Ma non è un caso che più del 60% fosse siciliano. Questa regione sconta probabilmente una storica minore attenzione alla riscossione delle entrate e, talvolta, scarsa prudenza da parte dei responsabili dei servizi finanziari ma c’è anche un problema culturale e sociale che non può essere imputato agli enti. Secondo Centro Studi Enti Locali è un dato di fatto che qui si faccia più difficoltà che altrove a riscuotere, sia per una storicamente minore propensione a pagare da parte dei contribuenti ed a richiederne il pagamento da parte degli uffici a ciò deputati, che per una oggettiva capacità contributiva minore, certificata anche dai dati Istat che vedono la Sicilia fanalino di coda per redditi medi annuali delle famiglie (23.879 contro la media nazionale di 31.641).

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