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In Italia 5-10% poliziotti e militari gay, ma coming out fa ancora paura

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11 ottobre 2016 | 15.02
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Rivelare l'amore omosessuale tra colleghi poliziotti o militari incontra ancora resistenze: il pressing di una cultura che detta i suoi diktat stereotipati sottraendo libertà alla propria diversità, fa in più di qualche caso optare per il silenzio. Qualcosa però sta cambiando, anche se "c'è ancora molta strada da fare sulla via dei diritti", sottolinea all'Adnkronos Simonetta Moro, presidente di Polis Aperta, associazione Lgbt delle forze dell'ordine. I gay e le lesbiche in uniforme che vivono apertamente la propria omosessualità "sono tra il 5 e 10% in Italia. Un dato che rispecchia la media generale delle persone Lgbt nella nostra società", dice Moro precisando che, ad ogni modo, "si tratta di una stima approssimativa visto che la maggior parte degli uomini e le donne in divisa nasconde ancora il proprio orientamento sessuale sul luogo di lavoro".

"Molti poliziotti e militari hanno paura di fare coming out. Hanno paura che rivelare il proprio orientamento sessuale possa bloccare la carriera. D'altronde, nei loro ambienti è ancora forte la cultura machista: in taluni casi si passa dalle discriminazioni nei confronti delle donne a quelle nei confronti delle persone Lgbt", afferma Moro. Anche se, a suo avviso, "il più grande tabù oggi resta quello delle persone transessuali che non possono accedere né in Polizia, né nelle Forze armate. La transessualità è considerata una patologia, quindi una causa di congedo dal servizio o di esclusione rispetto ai requisiti di assunzione".

Durante la conferenza ‘Forze di Polizia contro omofobia e transfobia’, organizzata dall’associazione a Milano, "c’è stata una testimonianza, tra le altre, molto significativa. Stefania Pecchini, sovrintendente della polizia locale nell’hinterland milanese - spiega la presidente di Polis Aperta - ha raccontato la sua storia: il cammino di transizione da uomo a donna all’interno del corpo cui appartiene. Lei ci teneva a mantenere la divisa e ruolo e, in questo caso, ha ricevuto supporto dai colleghi. Stefania oggi continua a svolgere il suo ruolo operativo come sempre ma in modo più efficiente di prima perché ha raggiunto un equilibrio. Ecco, lei è la prova vivente che non dovrebbero esistere preclusioni in Polizia, nei Carabinieri, nelle Forze armate così come avviene in tutti quei paesi aperti alle diversità. Come in Usa o Israele dove i trans possono liberamente arruolarsi nell’esercito senza più discriminazioni”.

"Il problema è che se i vertici del nostro Paese non prendono posizione contro l’omofobia, la cultura purtroppo resta quella del pregiudizio. Apprezzo certamente l’intervento della ministra Pinotti sulla strada del cambiamento: ritengo che le sue recenti dichiarazioni, in occasione del matrimonio da lei stessa celebrato tra due ragazze a Genova, siano storiche e che segnino una tappa importantissima, legata all'introduzione delle unioni civili, di apertura alla diversità finalmente anche nelle Forze armate", sostiene Moro. Che tra l’altro, a proposito di unioni civili di militari, rivela "che ve ne sono diverse in programma, anche se magari non entrambi i futuri sposi appartengono alle Forze armate".

Seguendo l'esempio della Pinotti verso l'inclusione delle diversità "bisognerebbe dunque rompere il silenzio. Fare, inoltre, tanta formazione su questi temi. Come fa la polizia con l'Oscad, l'Ossevatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, voluto dall'ex capo della polizia Manganelli", afferma infine la presidente di Polis Aperta, convinta che un passo concreto e decisivo sulla strada del cambiamento sia innanzitutto "dotare il nostro Paese di una legge contro omofobia e transfobia. Facciamolo".

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