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Omicidio Willy, fratelli Bianchi in aula: "Non siamo mostri"

18 novembre 2021 | 11.26
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Nuova udienza del processo per l’omicidio del 21enne a Colleferro la notte tra il 5 e il 6 settembre dello scorso anno. Imputati in aula

(Fotogramma/Ipa)
(Fotogramma/Ipa)

(Dall’inviata Silvia Mancinelli) - Gli imputati nel processo per l'omicidio di Willy Monteiro Duarte, a cominciare dai fratelli Marco e Gabriele Bianchi, nell'aula della Corte di Assise del Tribunale di Frosinone. Oggi si è svolta la nuova udienza del processo per l’omicidio del 21enne ucciso a Colleferro la notte tra il 5 e il 6 settembre dello scorso anno.

In aula tutti e quattro gli imputati, nelle celle di sicurezza, e la mamma e la sorella della vittima. Al loro arrivo l’abbraccio dei fratelli Marco e Gabriele Bianchi, seduti uno accanto all’altro. Vicino ai due Mario Pincarelli. Scortato dagli agenti della polizia penitenziaria, invece, Francesco Belleggia, unico ai domiciliari.

MARCO BIANCHI - "Ero un semplice ragazzo, lavoravo al bar di mio fratello, ho sempre praticato il mio sport, la disciplina dell’Mma, da quando avevo 9 anni. Una passione di famiglia, visto che il maestro era mio zio, e che volevo fare come lavoro. Una semplice vita la mia, tra casa, amici e palestra", dice in aula Marco Bianchi, il primo a rendere esame.

Omicidio Willy, Gabriele Bianchi: "Belleggia lo colpì con calcio senza pietà"

"Prima di iniziare a lavorare al ristorante mi arrangiavo ma in nero, ho sempre lavorato. Lo sport che praticavo - racconta al pm Giovanni Taglialatela - è uno sport come tutti gli altri, con delle regole. Mi chiamavano ‘Maldito il maledetto’, ma senza un significato preciso, ero un nome come tanti".

"Ho conosciuto Francesco e Mario alle scuole medie, poi ognuno ha cambiato istituto e da lì non ci siamo più visti. Una semplice amicizia, ogni tanto li incontravo ad Artena, poi quando mio fratello ha aperto il locale Belleggia ha iniziato a venire. Ci sentivamo, veniva a casa mia, nonostante dopo i fatti lui abbia dichiarato che non fossimo amici. Così con Mario, anche lui veniva al ristorante", aggiunge.

"La sera dei fatti ero al ristorante con mio fratello, che lì lavorava, e con i miei amici. Poi io ho deciso di andarci a bere una cosa a Colleferro, io, mio fratello Gabriele, Vittorio Tondinelli, Omar Sahbani e Michele Cerquozzi. Guidavo io il Q7, era circa mezzanotte. Siamo andati al ‘Due di picche’ e lì abbiamo bevuto: abbiamo incontrato Francesco Belleggia e Mario Pincarelli intorno all’una. Da lì siamo usciti, ho incontrato una mia amica, abbiamo parlato del più e del meno e siamo andati a farci un giro con lei, Gabriele, Vittorio e le altre due ragazze amiche", il racconto di Marco Bianchi.

"Michele e Omar ci aspettavano nella piazza dei locali, a Colleferro, quando più volte hanno chiamato per dirci che c’era una lite sono tornato con mio fratello, Vittorio e le tre ragazze in macchina con noi. Ma assolutamente non correvo, come è stato detto. Quando siamo arrivati nella piazza della movida ho visto la folla di gente accalcata nei giardinetti. Mi sono impanicato, ero agitato. C’erano delle persone, ma andavo a 15/20 km orari al massimo. Ho spento la macchina e sono sceso tranquillamente, come tutti gli altri, mi sono avvicinato cercando i miei amici, Omar e Michele. Quando sono arrivato c’era tanta gente, mi sono permesso di spingerli non di picchiarli. Se li avessi picchiati perché non sono andati a farsi refertare in ospedale?".

Il 25enne di Artena, atleta che praticava Mma, chiede scusa al pubblico ministero, chiede il permesso di parlare, di alzarsi per indicare gli spostamenti di quella notte sulla mappa.

"Ho visto Omar e accanto a lui Willy, che non conoscevo. Da agitato, impanicato, l’ho spinto e gli ho dato un calcio al fianco sinistro. Lui è caduto, ma non ha sbattuto contro la macchina. Omar mi ha fermato dicendo che non c’entravano nulla, di andarcene. Ho visto Willy rialzarsi subito. Conosco le conseguenze di un calcio frontale, se gli avessi dato un colpo al petto avrei ammesso la mia responsabilità. Ho dato un calcio a Willy, ma l’ho preso sul fianco sinistro, qui - indica in piedi al pm - non sul petto".

"Quando sono andato a Colleferro e ho visto il gruppo di persone, mi sono agitato perché credevo che il mio amico stesse litigando, ho colpito Willy perché era lì fermo davanti a Omar (Sahbani, ndr). Conosco le conseguenze di un calcio al petto, non mi sarei mai permesso", continua.

"Ho reagito male, mi sono agitato pensando fosse il mio amico ad essere in difficoltà. Ho spinto e colpito Willy, ma si è subito rialzato. Così, accertato che il mio amico non c’entrava nulla, sono uscito dai giardinetti e sono andato verso la macchina. Con la confusione di tutte quelle persone ho visto il ragazzo a terra, aggredito, ma non immaginavo fosse successo qualcosa di grave a quel ragazzo - sottolinea - non sarei mai ripartito".

"Quando siamo risaliti in macchina siamo tornati verso il ristorante di mio fratello, Belleggia si è intrufolato in auto, Pincarelli non è salito con noi. Omar (Sahbani, ndr) accusava e insultava Belleggia per aver colpito quel ragazzo senza motivo. Quando siamo arrivati ad Artena ho detto a tutti di prendersi le proprie responsabilità".

"Omar era arrabbiato anche con Pincarelli per la discussione avuta precedentemente al locale ‘Due di picche’. Mario (Pincarelli, ndr) secondo quando diceva Omar - continua Marco Bianchi - ha colpito Willy con due colpi precisi, uno quando era in piedi l’altro quando era a terra, anche con tre, quattro colpi sul petto".

"Quando i carabinieri ci hanno detto di andare in caserma ero ignaro di tutto. Pensavo fosse unicamente per chiarire cosa fosse accaduto ma mai e poi mai avrei immaginato quello che poi abbiamo saputo l’indomani mattina" dice Marco Bianchi.

"Siamo andati insieme, io, mio fratello Gabriele, Francesco (Belleggia, ndr) e Vittorio (Tondinelli, ndr). Mario (Pincarelli, ndr) ci ha raggiunto dopo. Non sono un mostro come mi hanno descritto, ho sempre detto la verità, a differenza di altri - afferma Marco Bianchi - Se sbaglio pago, non ho paura della galera. Sono uno che ammette sempre le proprie responsabilità".

"Ho sempre detto la verità, ma non sono mai stato creduto. E' morto un ragazzo, ma se lo avessi colpito in modo grave non me ne sarei mai andato, lasciandolo lì. Mi rivolgo ai familiari di Willy, se avessi sbagliato lo ammetterei".

"In un anno e 4 mesi si è parlato solo di noi - continua il 25enne di Artena - Siamo stati fatti passare per mostri, si parlava solo dei fratelli Bianchi. Qualsiasi cosa dicevamo venivamo attaccati. Ma ero sicuro che da esame del Dna e dopo la perizia sarebbe uscita la verità, perché a Willy ho dato solo una spinta e un calcio al fianco".

Le risposte mirano ad alleggerire non solo la sua, ma anche la posizione del fratello quando dice: "Gabriele non ha colpito Willy ma un altro ragazzo che temeva potesse colpirmi". Prima l’abbraccio, riuniti nella stessa cella di sicurezza, poi i cenni di intesa.

GABRIELE BIANCHI - "Aspetto questo momento da un anno e due mesi, non vedo l’ora di rispondere a tutte le domande". Inizia così, nell'aula della Corte di Assise del Tribunale di Frosinone, la deposizione di Gabriele Bianchi, secondo a deporre davanti al pm Francesco Brando.

"Non ho colpito Willy, ma ho spinto e dato un calcio al petto a Samuele Cenciarelli. Me ne vergogno, e chiedo scusa a lui e alla sua famiglia. Ma quando sono arrivato e ho visto che guardava fisso Omar e mio fratello, temendo potesse colpirli, gli ho sferrato un calcio al petto, facendolo finire contro una macchina" dice Gabriele Bianchi,

"Cenciarelli ha indietreggiato, non ha risposto al colpo e anzi ha detto che non c’entrava niente - aggiunge - A quel punto mi sono bloccato e ho realizzato che non avrebbe colpito Omar o mio fratello, ho capito che avevo sbagliato. Michele (Cerquozzi, ndr) mi ha strattonato afferrandomi alle spalle per la camicia, urlava di smettere e mi sono vergognato di avergli dato il calcio".

"Siamo stati accusati dalla feccia di Colleferro che, davanti alle telecamere, ha parlato male di noi, dandoci dei mostri senza nemmeno conoscerci" dice in aula Gabriele Bianchi. "Perfino i nostri amici sono stati influenzati dalla situazione mediatica, alcuni manipolati da genitori preoccupati che potessero finire nei guai - aggiunge - In parte posso capirli, so che sono stati minacciati solo per essere nostri amici".

"Ho visto Belleggia tirare un calcio sinistro al mento a Willy, quando era ancora in piedi, e poi colpirlo nuovamente quando era ormai a terra. Ha preso la rincorsa e ha dato un altro calcio al collo senza pietà" dice Gabriele Bianchi. "Marco (Bianchi, ndr) e io non lo avremmo mai fatto - continua concitato - colpire un ragazzo a terra è da infame non si fa".

"Sono vicino al dolore della famiglia di Willy e alle persone che gli vogliono bene, anche io sono padre e posso immaginare cosa significhi perdere un figlio" afferma. "Non ho raccontato da subito la mia versione - spiega - Ho voluto dare a Belleggia possibilità di prendersi le sue responsabilità in primo luogo, e poi mi sono fidato del mio avvocato che mi consigliava di aspettare".

"Ho provato dolore e rabbia, che ho affrontato grazie agli psicologi che mi sono stati vicino, ho dovuto prendere dei farmaci per dormire la notte. Provo tuttora rabbia verso Belleggia" risponde il 27enne di Artena al pm che gli chiede cosa pensi dell’imputato che a differenza degli altri è ai domiciliari. "So per certo che Belleggia non aveva intenzione di uccidere Willy - precisa - ma da lui mi aspettavo che si assumesse le proprie responsabilità. Invece niente, non ha detto niente".

"Quando eravamo dai carabinieri, Belleggia piagnucolava e mi faceva cenno di stare zitto mentre gli chiedevo se si rendesse conto di quello che aveva fatto, dei calci in faccia dati a quel ragazzo. Lui piangeva e si sdraiava sulla poltrona nera della sala d’attesa" racconta ancora Gabriele Bianchi. Si rivolge ancora una volta a Belleggia: "Piuttosto che dire la verità - incalza - ci hai rovinato le vite, ci hai mandato in galera. Se avessi detto la verità si sarebbe capito subito che quel ragazzo era morto per disgrazia".

"Se Belleggia non ha il coraggio di dire la verità ora lo faccio io. Lui si professava come un fratello, gli ho dato la possibilità di prendersi le proprie responsabilità". E aggiunge un particolare preciso anche su un altro imputato, Mario Pincarelli, come lui e suo fratello in carcere. "Ho visto Pincarelli dare pugni dall’alto verso il basso, ma Willy era in piedi. Erano sbracciate più che altro, che non avrebbero mai potuto provocare una morte".

"La notizia della morte di Willy è una notizia bruttissima che ha distrutto le nostre vite come quella della sua famiglia" dice ancora in aula Gabriele Bianchi.

BELLEGGIA - Francesco Belleggia, unico imputato per l’omicidio di Willy ai domiciliari, racconta al pm una versione opposta a quella resa pochi istanti prima da Marco Bianchi: "Marco colpì Willy con un calcio, facendolo finire contro la macchina. Quando, con una mano poggiata sul marciapiede e l’altra sull’auto, ha provato ad avanzare, è stato nuovamente colpito da un calcio. A quel punto è caduto a terra, Marco continuava a prenderlo a pugni".

Alle sue parole, dalla cella di sicurezza, i fratelli Bianchi e Mario Pincarelli allargano le braccia in segno di sorpresa. Conferma, invece, quanto detto da Gabriele Bianchi: "Diede un calcio a Samuele Cenciarelli, che alzò le mani e disse che loro non c’entravano nulla - racconta - ma continuò a prendere colpi ancora da Gabriele".

"Non ci siamo confrontati dopo i fatti, ma ricordo bene che in macchina Marco disse: ‘comunque, rega’, quel ragazzo è andato in coma" dice Belleggia, rispondendo alle domande del suo avvocato difensore Vito Perugini.

"Ci disse poi di dire che loro non erano scesi proprio dalla macchina, che erano solo venuti a prenderci. Ribattemmo dicendo che non sarebbe stato possibile viste le tante persone che erano quella sera ai giardinetti e li avevano visti. Allora - continua Belleggia - rispose che ognuno si prendeva la responsabilità di quello che aveva fatto, lui del calcio, noi degli altri colpi. Ma io gli dissi che non era giusto, che noi non avevamo fatto niente. Marco mi disse poi che era meglio se me ne andavo a casa, pure Gabriele mi invitò a fare lo stesso". Mentre parla, Gabriele in cella si mette la mano sulla fronte e alza sdegnato lo sguardo.

"Sentivo le urla, ero spaventato. Entrai in auto con i fratelli Bianchi perché non trovavo il mio amico non sapevo dove andare" afferma Belleggia, rispondendo alle domande sul perché fosse andato via in macchina con Marco e Gabriele Bianchi dopo il pestaggio ai giardinetti di Colleferro.

PINCARELLI - Mario Pincarelli, coimputato insieme ai fratelli Bianchi e a Belleggia nel processo per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, non ha dato consenso a rendere esame nell’aula della Corte di Assise del Tribunale di Frosinone ma ha reso dichiarazioni spontanee per chiarire la sua posizione: "Non ho visto nessun colpo, quando stavo per andarmene mi hanno dato una spinta e sono finito a terra. Accanto a me c’era un ragazzo che però non conoscevo, gli ho dato due pizze all’altezza del cappuccio della felpa. A questo mi riferivo quando venni intercettato, dissi che mi sono rovinato per due pizze".

"Quella sera ero ubriaco - continua - ricordo di aver visto i fratelli Bianchi andare via, io me ne sono andato con il mio amico, ma mi sono fermato per andare al locale del fratello dei Bianchi, vedendoli lì, per smaltire un po’ l’alcol. Omar era arrabbiato con me. Sentivo Gabriele e Marco dire più volte a Belleggia di prendersi le responsabilità del calcio, lui era preoccupato, io stavo tranquillo".

"Quando i carabinieri sono arrivati, hanno parlato con Gabriele e Marco, a me nessuno ha detto di andare in caserma quindi sono andato a casa. Poco dopo mi ha telefonato Belleggia - prosegue Pincarelli - mi ha detto di andare. A quel punto ho detto che la responsabilità di un calcio me la sarei presa io, se era per quello che eravamo lì. Io volevo solo andarmene a casa. Non immaginavo assolutamente cosa in realtà fosse successo". E conclude: "Mi dispiace molto per la famiglia di Willy, nessuno voleva uccidere".

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