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Csel, oltre 101mila le partecipazioni detenute da enti locali, 75% nel Nord Italia

30 agosto 2021 | 11.04
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Il fatturato delle società partecipate impegnate nel settore dei servizi pubblici locali ammonta a 46,6 miliardi di euro (circa il 12% del mercato di riferimento)

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Ammontano a 101.478, di cui 23.154 dirette e 78.324 indirette, le partecipazioni detenute dalle amministrazioni territoriali. Tra le Regioni che detengono in assoluto più organismi partecipati (società e non) svetta la Lombardia con 1.048 su 7.154 (circa 1 su 7), seguita dall’Emilia-Romagna con 587, la Toscana con 560, il Piemonte con 528 e il Veneto con 497. Sono alcuni dei dati che emergono dal dossier messo a punto da Centro Studi Enti Locali (Csel) per l'Adnkronos alla luce della recente indagine sugli organismi partecipati dagli enti territoriali e sanitari, pubblicata dalla Corte dei conti, che ha riaperto il dibattito sul ruolo delle società pubbliche e la loro capacità di incidere positivamente per la ripresa del Paese.

Le partecipate pubbliche, rileva il Csel, possono rappresentare una risorsa chiave per la ripresa del paese, ma serve uno scatto di orgoglio della politica. Il fatturato delle società partecipate dagli enti locali impegnate nel settore dei servizi pubblici locali ammonta a 46,6 miliardi di euro (circa il 12% del mercato di riferimento) e, sebbene una società a controllo pubblico su 4 risulti essere in perdita, globalmente queste contribuiscono positivamente ai bilanci degli enti soci e registrano utili che complessivamente si traducono in un 'saldo' a favore degli enti partecipanti che supera i 2 mld di euro. A livello aggregato, il complesso delle società prese in esame ha prodotto più utili che perdite (in rapporto pari a circa 7 a 1): un fenomeno trasversale a quasi tutte le Regioni, in particolare in Piemonte, nella Provincia autonoma di Trento e in Friuli-Venezia Giulia. Di contro, le perdite superano gli utili nelle società partecipate a controllo pubblico con sede in Molise, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna.

Il Piano Nazione di Ripresa e Resilienza (Pnrr) varato dal Governo Draghi punta decisamente sulle società pubbliche, sia a trazione centrale sia locale. L’assioma che viene più volte ripetuto nei documenti di indirizzo è quello che per realizzare i programmi di spesa e quindi gli investimenti finanziati dal Recovery Fund (Pnrr) e dal Fondo complementare (Pnc) occorre bruciare i tempi, velocizzare le procedure di affidamento e puntare sulla semplificazione degli iter amministrativi sottesi alla realizzazione del Piano.

Le società e, più in generale, gli organismi pubblici, rileva Csel, dovrebbero rappresentare, per loro natura, la risposta all’esigenza di tempestività ed efficienza per l’attuazione delle azioni delineate dal Piano. Eppure, questa convinzione vacilla di fronte alle analisi della Sezione della Autonomie della Corte dei conti che, sebbene prenda in considerazione dati ante-covid (il rapporto analizza informazioni amministrativo-contabili delle partecipate pubbliche del 2018), effettua una disamina attenta di quelle che sono le criticità gestionali delle società e degli organismi partecipati detenuti dagli enti territoriali, da cui emerge che un quarto delle società a controllo pubblico (che rappresentano circa 64% delle società censite nella banca dati del Mef) è in perdita e ha accumulato passività per oltre 0,5 mld di euro a fronte di una generalizzata tendenza delle amministrazioni controllanti (circa l’80%) a non dare seguito agli obblighi di razionalizzazione previste dalla normativa di settore.

Oggi il fenomeno delle partecipazioni pubbliche ha assunto dimensioni e rilevanza notevole e lo dimostrano i dati forniti dalla Corte dei conti e dalla banca dati Partecipate del Mef/Infocamere che, alla luce della riorganizzazione e integrazione con i dati macroeconomici operata da Centro Studi Enti Locali, offrono spunti interessanti per assicurare azioni di sistema a vantaggio della finanza locale. Analizzando i dati della banca dati del Mef, la Corte dei conti ha individuato, con riferimento al solo comparto degli enti territoriali, 7.154 organismi partecipati in via diretta e indiretta, mentre le società a controllo pubblico si attestano su un valore pari a 3.118 su un numero complessivo di società censite pari a 4.880. La Camera di commercio ad oggi rileva 3.025 società a controllo pubblico con bilanci in regola (depositati negli ultimi anni). In termini di numerosità di organismi partecipati censiti, emerge che tra le Regioni che detengono il più alto numero di organismi partecipati (società e non) vi è la Lombardia con 1.048, l’Emilia-Romagna 587, la Toscana con 560, il Piemonte con 528 e il Veneto con 497.

Le partecipazioni detenute dalle amministrazioni territoriali ammontano a 101.478, di cui 23.154 dirette e 78.324 indirette, per la maggior parte riferite ai Comuni (quasi il 97%) e localizzate prevalentemente al Nord Italia (75%). Infatti, è l’area geografica della Lombardia a rilevare il maggior numero di partecipazioni (22.651 partecipazioni totali) seguita dall’Emilia-Romagna (16.788 partecipazioni), dalla Toscana (11.620) e dal Piemonte (11.280 partecipazioni), distanziati di una buona misura si trovano il Veneto (8.679 partecipazioni) e la Provincia Autonoma di Trento (8.385 partecipazioni). Di particolare interesse è l’andamento in controtendenza del numero relativamente modesto di partecipazioni detenute dalle amministrazioni territoriali del Lazio (912 partecipazioni in totale) e della Puglia (782 partecipazioni).

Il dato delle partecipazioni detenute, rileva il Csel, è destinato a ridursi soprattutto per effetto delle norme di razionalizzazione previste in particolare per il comparto degli enti locali che vede un numero di partecipazioni pari a 98.211; un numero enorme rispetto agli altri comparti della Pubblica amministrazione. La Corte dei conti ha più volte stigmatizzato il ritardo dei comuni nel dare seguito ai propri piani di razionalizzazione. Anche gli obblighi di censimento degli organismi partecipati e revisione-razionalizzazione delle partecipazioni societarie sono spesso disattesi, Sono 726 i comuni inadempienti su un totale di 7.954 (9,13%). Questi si concentrano prevalentemente nelle fasce dei comuni più piccoli intercettando una popolazione residente pari a 2,5 milioni su un totale di 60,4 milioni (4,16%). A questi numeri vanno aggiunti i 156 Comuni che dichiarano di non detenere partecipazioni, la cui incidenza in termini di popolazione complessiva è del 1,38%.

In generale, gli enti locali territoriali tendono ad avere un atteggiamento 'conservativo'. Venendo meno alle indicazioni fornite dallo stato centrale nel 2016 con il Testo Unico sulle Società Partecipate, oltre l’80% delle amministrazioni tende a 'mantenere' le partecipazioni detenute, senza alcun intervento di razionalizzazione. Questo si riscontra diffusamente nei Comuni mentre Province/Città metropolitane e Regioni/Province Autonome hanno dimostrato condotte più attive. Infatti, i Comuni hanno scelto di mantenere le partecipazioni (con o senza interventi di razionalizzazione) nell’87,38% dei casi, a fronte di un valore del 59,48% e del 67,52%, rispettivamente, delle Regioni/Province autonome e delle Province/Città metropolitane.

Sotto il profilo economico le società partecipate da amministrazioni pubbliche territoriali contribuiscono sensibilmente alla produzione complessiva. Nel 2018 infatti l’Istat ha censito 4.302.679 imprese che hanno contribuito alla produzione nazionale per circa 2.341 mld di euro, se confrontato per settore di attività si rileva che per quanto concerne il settore dei Servizi pubblici locali la produzione complessiva di 446.809 imprese censite riportavano un fatturato pari a oltre 378,9 mld e che vede il settore delle amministrazioni locali con le sue 1.192 società coprire con la propria produzione di 46,5 mld, circa 12% del mercato. Anche in termini occupazionali le società di servizi pubblici locali impiegano 2.362.277 addetti di cui 233.631 fanno capo a società partecipate a controllo pubblico di enti territoriali (circa il 9,8 % della forza lavoro totalmente impiegata).

Sotto il profilo della gestione finanziaria, l’indagine della Corte evidenzia un’anomalia, non trascurabile, di 1.080 società controllate di cui non si dispongono di dati diretti rispetto a debiti e crediti verso controllante, bensì dei soli dati contabili rilevabili dai bilanci depositati in Camera di commercio rendendo più complesso il ruolo degli organi di revisione e allo stesso tempo potrebbe essere indice di ulteriori criticità per i bilanci degli enti soci. Sul punto si rilevano crediti verso partecipanti del 23,79% sul complessivo ammontare, cui corrispondono livelli più modesti dal lato dei debiti 16,48%. In alcuni ambiti territoriali, tuttavia, emerge una forte preminenza dei crediti verso partecipanti/controllanti sul totale: si evidenziano, infatti, percentuali del 70,87% per gli enti del Lazio, del 69,20% nel Molise, del 35,11% in Basilicata e del 33,27% in Liguria. Sotto il profilo dei debiti emergono in alcuni ambiti territoriali forti dipendenze delle società a controllo pubblico dagli enti partecipanti; in particolare, si rileva una forte incidenza dei debiti verso gli enti partecipanti aventi sede nelle Regioni Abruzzo (44,86%), Molise (42,73%) e Piemonte (37,71%).

Sebbene vi sia un evidente contributo del settore delle società detenute dalle amministrazioni locali alla produzione nazionale, permangono comunque notevoli criticità in alcuni settori di attività ed in particolari territori del paese. Risultano, infatti, in perdita il 23% delle 2.656 società a controllo pubblico (individuate dalla Corte dei conti), con un risultato d’esercizio negativo che si attesta sul valore di 555 mln di euro. Chiaramente questo scenario apre ulteriori considerazioni sulle cause delle perdite registrate che incidono complessivamente sul valore della produzione per circa il 13%, con scostamenti rispetto a tale media particolarmente significativi nelle società controllate dagli enti delle Regioni Valle d’Aosta, Molise, Puglia, Sardegna, Marche, Lombardia e Calabria.

Inoltre, se si osservano i dati riferiti alle due macrocategorie delle società a controllo pubblico ovvero quelle che erogano servizi pubblici (n. 195 in perdita) e quelli strumentali (n. 406 in perdita) emerge un’incidenza delle perdite sul valore della produzione delle società che, nel 2018 erogano servizi strumentali, più che tripla rispetto a quella delle società operanti nel settore dei servizi pubblici locali (29,31% rispetto a 9,32%). Peraltro, la rilevazione delle perdite non trova gli enti controllanti in regola rispetto all’obbligo di accantonare nel proprio bilancio le risorse necessarie a farvi fronte, sono solo 148 enti su un totale di 357 che provvedono all’accantonamento e per importi inferiori di quasi la metà rispetto alle esigenze effettive delle aziende. Uno studio del Sole 24 ore del 2019 sull’andamento delle Pmi italiane, conferma un andamento simile con perdite che interessano il comparto per oltre il 30% delle imprese osservate.

Analogo fenomeno, rileva il Csel, interessa le 1.282 società non a controllo pubblico in cui viene registrato un andamento negativo della gestione con perdite che interessano oltre il 35% delle società ed un importo complessivo di 293 milioni di euro. In questo caso sembra, in termini generali, che la sussistenza di una relazione di controllo tra ente partecipante e società controllata rappresenti un fattore in grado di migliorare i risultati della gestione e, conseguentemente, limitare il numero di casi in cui si verificano perdite di esercizio: ciò anche in relazione agli effetti dei vincoli normativi più stringenti imposti dal Dlgs. n. 175/2016 sulle società a controllo pubblico.

In sintesi, emerge chiaramente l’importanza del contributo del comparto delle società pubbliche ai bilanci degli enti soci, dove gli utili registrano complessivamente un 'saldo' a favore degli enti partecipanti per un valore di oltre due miliardi di euro. Infatti, a livello aggregato il complesso delle società prese in esame ha prodotto più utili che perdite (in rapporto pari a circa 7 a 1), fenomeno evidente in quasi tutte le Regioni, e in particolare per le società collocate nei territori regionali del Piemonte, della Provincia autonoma di Trento e del Friuli-Venezia Giulia. Al contrario, occorre rilevare, che le perdite superano gli utili nelle società partecipate a controllo pubblico con sede in Molise, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna.

L’analisi effettuata, rileva il Csel, "consente, pertanto, di evidenziare l’importanza del ruolo proattivo di indirizzo e coordinamento affidato alle amministrazioni locali controllanti, dove la disciplina speciale prevista per le proprie società ed organismi partecipati spinge a mantenere la barra dritta e garantire l’equilibrio della gestione anche in termini prospettici. Inoltre, le deroghe al codice degli appalti, previste per le gestioni 'in house', che consentono affidamenti diretti dell’ente alle proprie aziende, rendono il settore ancora più strategico per trasmettere l’impulso per la ripresa e assicurare gestioni pubbliche e attività strumentali efficienti dell’amministrazione locale per il tramite dei propri organismi societari (e non). Soggetti, questi ultimi, che rientrando perfettamente nella sfera d’influenza dell’amministrazione, consentendo al decisore pubblico di affrontare con più consapevolezza le prossime sfide rivenienti dal Pnrr. Una sfida dove competenze di alto profilo e un adeguato livello di flessibilità organizzativa e gestionale possono diventare fattori di successo per realizzare investimenti pubblici in tempi congrui e consentire alle risorse impiegate di per fare da effetto moltiplicatore attraendo il settore privato che ha risentito e continua a subire in parte le pesanti restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria che stiamo ancora con difficoltà lasciando alle spalle".

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