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Italia-Ue, ore decisive

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16 dicembre 2018 | 08.15
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L'ecotassa sta creando nuove tensioni all'interno del governo gialloverde. Tanto che per stasera è previsto un vertice a palazzo Chigi tra il premier Giuseppe Conte, i vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, i ministri Riccardo Fraccaro e Giovanni Tria, i sottosegretari Massimo Garavaglia e Laura Castelli. "Nessun braccio di ferro", si fa sapere. La questione verrà affrontata"come sempre, con il dialogo e la mediazione". Ma il problema vero è che ormai il tempo stringe, bisogna assolutamente trovare una soluzione tecnica che consenta di evitare il lancio di una procedura per debito nei confronti dell'Italia. Uno dei nodi da risolvere, a livello sia tecnico che politico, resta quota 100, o lo 'smontaggio' della riforma Fornero, più che il cosiddetto reddito di cittadinanza. Fonti comunitarie si limitano a confermare che "il dialogo è in corso". Un annuncio sull'esito del negoziato è atteso per lunedì. Il reddito di cittadinanza, se piace all'Italia che non piace alla Lega, come ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, politico ed amministratore di lunga esperienza, alla Commissione europea non dispiace, anzi. L'esecutivo guidato da Jean-Claude Juncker, ha assicurato il viceportavoce capo Alexander Winterstein, "ha sempre sostenuto l'introduzione di programmi di reddito minimo negli Stati membri, che è un elemento importante del pilastro sociale europeo". Non a costo di 'scassare' i conti, beninteso: "Naturalmente - ha aggiunto - la questione è come finanziarli".

Invece, quella che la Ue considera la "controriforma" delle pensioni preoccupa Bruxelles, per il semplice motivo che la riforma fatta dal governo Monti viene considerata, a torto o a ragione, un modello, che mette in sicurezza il sistema previdenziale italiano. Un modello importante, perché altri Paesi non hanno ancora fatto riforme simili e perché, con l'invecchiamento della popolazione, mettere in sicurezza i conti del sistema previdenziale diventa sempre più importante, considerando anche il fatto che rimediare al deficit della natalità con l'immigrazione sta diventando sempre più complicato sotto il profilo politico. Non è una novità: basta leggere l'opinione della Commissione sulla manovra rivista per ricordarsi che, per le autorità Ue, "le misure incluse nella manovra rivista per il 2019 indicano il rischio di fare marcia indietro rispetto alle riforme che l'Italia ha adottato in linea con le raccomandazioni specifiche per Paese". In particolare, "mentre il Consiglio ha raccomandato che l'Italia riduca la quota delle pensioni di anzianità nella sua spesa pubblica per fare spazio ad altre spese sociali, la possibilità reintrodotta di pensionamento anticipato fa marcia indietro rispetto a passate riforme delle pensioni (cioè la riforma Fornero, ndr) che supportano la sostenibilità a lungo termine del considerevole debito pubblico italiano". E la riforma "potrebbe avere anche un impatto negativo sull'offerta di lavoro, in un contesto in cui l'Italia è già al di sotto della media Ue per la partecipazione dei lavoratori più anziani (tra i 55 e i 64 anni di età) all'occupazione". Più in generale, "la manovra rivista non prevede misure efficaci per porre rimedio alla fiacchezza della crescita potenziale del Paese, in particolare alla sua stagnazione della produttività, che dura da tempo".

A quanto spiegano fonti qualificate, si sta comunque lavorando per rivedere la manovra senza toccare né il reddito di cittadinanza, né quota 100, perché altrimenti politicamente la proposta non passerebbe. Lo stesso presidente del Consiglio ha confermato più volte che quota 100 e reddito di cittadinanza restano come programmate, sia nella platea dei beneficiari, sia negli ammontari, sia nei tempi previsti. Proprio perché la Lega tiene duro su quota 100, ponendo una questione politica, si tenta di rimediare puntando su altri capitoli, e il lavoro tecnico su questo si concentra. Non a caso Conte ha sottolineato che le linee di politica economica che sottendono la manovra rientrano "nell'ambito delle prerogative di uno Stato sovrano". La Commissione, insomma, può avere le sue riserve su quota 100, ma l'esecutivo Ue ha diritto di verifica e non di intromissione nella natura delle misure decise dall'Italia. Si sta comunque negoziando, sia a Roma che a Bruxelles, per trovare una soluzione accettabile a entrambe le parti. In ogni caso, pare difficile che la soluzione a livello tecnico possa essere escogitata prima di lunedì.

Ma lunedì, al massimo entro martedì, bisogna chiudere. La bozza tecnica, poi, andrà sottoposta alla verifica politica in sede di governo. Se otterrà luce verde dal governo, si presenterà il maximendamento in Senato e la procedura per debito dovrebbe essere evitata. Tutto questo, però, è un discorso teorico, dato che non c'è ancora l'accordo a livello tecnico, anche se l'atmosfera viene descritta come assolutamente positiva. La linea della Commissione sulle pensioni è quella di sempre: anche nell'ultimo programma di assistenza finanziaria alla Grecia sono previste misure per separare previdenza ed assistenza. L'idea che le pensioni non devono essere un ammortizzatore sociale, con qualche eccezione per i lavori usuranti, è una posizione 'classica' della Commissione: in un sistema di welfare serio e moderno, per l'Ue, l'assistenza va fatta con strumenti ad hoc, non attraverso le pensioni. La questione della qualità delle misure è collegata a quella dei saldi, perché, malgrado il dibattito mediatico sia concentrato sul deficit nominale, che il governo italiano ha abbassato dal 2,4% del Pil per il 2019 al 2,04%, uno sforzo "consistente e apprezzabile" per il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici, in realtà quello che conta per le regole Ue di bilancio non è il deficit nominale, ma quello strutturale, calcolato cioè al netto degli effetti del ciclo economico e delle misure una tantum. Anche se si tratta di una stima opinabile, che dipende molto dalla metodologia utilizzata (quella della Commissione viene contestata da non pochi economisti e lo stesso Pier Carlo Padoan si era lungamente battuto per cambiarla, battaglia continuata da Giovanni Tria), è quella che vale per le regole europee ed è a quella, non al deficit nominale, che bisogna guardare.

Per questo, osservano fonti Ue, il paragone che viene fatto con la Spagna e con la Francia a livello tecnico non regge. Si tratta di situazioni di bilancio completamente diverse da quella in cui si trova l'Italia. La Spagna avrebbe dovuto ridurre il deficit strutturale di 0,6 punti percentuali, e sta chiedendo di poterlo ridurre un po' di meno, dello 0,4. La Francia di Emmanuel Macron, alle prese con la 'jacquerie 2.0' dei Gilets Jaunes, in piazza anche oggi malgrado l'attentato ai mercatini di Natale di Strasburgo, avrebbe dovuto ridurlo di 0,2 punti percentuali, mentre ora sta chiedendo, probabilmente, di peggiorarlo di 0,1. All'Italia, spiegano le fonti, è stato già offerto di peggiorarlo più di quanto Emmanuel Macron stia chiedendo. Il punto è che il governo lo voleva peggiorare di 0,8 punti (addirittura di 1,2 nelle stime della Commissione), mentre avrebbe dovuto migliorarlo di 0,6 punti percentuali. Il delta è, almeno, dell'1,4%. E' per questo che la manovra italiana, dal punto di vista tecnico, è imparagonabile alle altre, anche con quella francese post-Gilet Gialli. Certo, un conto è il piano tecnico, un altro quello politico. Se la soglia del 3% tra deficit e Pil può essere compresa, forse, da un pubblico più o meno vasto, spiegare all'elettorato la differenza tra il deficit strutturale e quello nominale è una sfida molto più ardua. Per questo i politici più accorti della Commissione, come Pierre Moscovici, hanno ripetutamente sottolineato la necessità di semplificare e rendere più semplici le regole di bilancio dell'Ue. In un periodo in cui la comunicazione politica avviene sempre più sui social, che per loro natura si prestano poco all'approfondimento, un apparato di regole così complesso (il vademecum sul patto di stabilità supera le 200 pagine) è molto difficile da comunicare. Il rischio è di dare facili armi propagandistiche, di sicura efficacia in campagna elettorale, a chi sostiene che nei confronti di Francia e Italia l'Ue utilizzerebbe due pesi e due misure (non a caso Tria, che è un economista, ha detto che "non ci sono" due pesi e due misure). Anche per questo, politicamente la Commissione si rende conto che lanciare una procedura per debito contro l'Italia, mentre la Francia di Macron può tentare di blandire i Gilet Gialli con misure sociali senza subire ripercussioni, a pochi mesi dalle elezioni europee sarebbe estremamente rischioso.

Per evitare il lancio di una procedura per debito nei confronti del nostro Paese, tuttavia, non basta la volontà politica: deve anche essere trovata una soluzione tecnica compatibile con il quadro regolatorio Ue. Perché la Commissione deve comunque presentarsi davanti ai ministri dell'Eurogruppo, e dell'Ecofin, con un quadro solido, basato su misure documentate e legislate, per poter rivedere l'opinione negativa sulla manovra. E quello che la Commissione non può accettare è che l'Italia 'deconsolidi'. Cioè che peggiori il deficit strutturale, che va migliorato, anche di pochissimo. Il premier Conte ha spiegato che "lo staff tecnico che sta lavorando per compiere questi ultimi dettagli, per completare la nostra proposta". Pertanto, è probabile che la soluzione al rebus si cerchi nella flessibilità eccezionale che la Commissione ha ripetutamente menzionato. "Possiamo giocare su tutte le flessibilità consentite dal patto di stabilità, ma non possiamo andare contro il patto, che vale per tutti gli Stati membri della zona euro, quale che sia il colore politico dei dirigenti", ha spiegato Moscovici.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ieri, al termine del Consiglio Europeo, ha confermato di voler percorrere questa strada, facendo sapere di puntare sul piano di prevenzione del dissesto idrogeologico e su un piano per ridurre i tempi della giustizia, civile e penale (uno dei talloni d'Achille del Paese), che ricadrebbe probabilmente nell'ambito della clausola per le riforme strutturali. E anche qui, quota 100 torna in ballo. Posto che la Commissione intende concedere flessibilità all'Italia legandola alle riforme strutturali, osservano fonti Ue, se l'Italia sulle pensioni mette in campo contemporaneamente quella che per la Commissione è una vera controriforma, allora diventa molto difficile giustificare la flessibilità. E quota 100 resta una bandiera della Lega di Matteo Salvini, il che complica le cose ("Smontare la legge Fornero è un mio preciso impegno, e lo faremo rispettando i parametri", ha ribadito qualche giorno fa a Bruxelles). Salvini, in questo, segue la storica linea della Lega: Umberto Bossi tolse la fiducia al primo governo Berlusconi, nel 1994, proprio a causa delle proposte di riforma previdenziale.

Per questo, secondo fonti Ue, è difficile prevedere come andrà a finire, perché la proposta presentata dall'Italia, malgrado le dichiarazioni incoraggianti di Moscovici da Bruxelles, che hanno corretto quelle da Parigi, sarebbe ancora insufficiente. Resta ancora un "ultimo miglio" da percorrere. E va ricordato che non manca chi, nella Commissione, ritiene che concedere flessibilità all'Italia, che ha consentito al nostro Paese una spesa aggiuntiva di 30 mld di euro negli ultimi anni, nel tentativo di "stabilizzare una situazione politica", sia stato inutile, se non controproducente. E' chiaro, infine, che trovare un'intesa con la Commissione europea sulla manovra, per l'Italia, ha una valenza politica che va oltre il piano tecnico. Visto che il governo "è nato sotto un brutto segno, perché ci è stata attribuita la volontà di uscire dall'Eurozona", come ha detto Conte, accordarsi con la Commissione dimostrerebbe nei fatti che l'Italia intende "rispettare le regole". Non a caso il premier ha sottolineato ripetutamente che il governo "riconosce" l'Ue come interlocutore. Un "riconoscimento" che ha già avuto un effetto benefico sui rendimenti dei titoli di Stato, con lo spread Btp-Bund sceso a quota 270 punti, con il rendimento del decennale al 2,96%. Sempre alto, ma sotto i picchi delle scorse settimane.

Per un Paese con un debito pubblico sopra il 131% del Pil, al di là del fatto che l'Italia spende l'8% del gettito al servizio del debito, contro il 7% del Regno Unito e della Spagna (che pure hanno rating molto migliori), è quello il vero 'vincolo esterno'. Lo ha ammesso lo stesso Conte: il presidente del Consiglio, ha detto ieri, "è sempre preoccupato se lo spread è alto. Ho sempre lavorato perché si riducesse". Il problema è che l'andamento dello spread "non è nelle mani del presidente del Consiglio, ma è nella logica che agita i mercati finanziari".

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